Caro Avvenire, il “bonus psicologo” ha aperto le porte alla terapia soprattutto a persone che non ne avevano mai usufruito, dimostrando che le cure psicologiche funzionano e fanno guadagnare salute e qualità di vita. La misura ha anche inciso positivamente sull’economia, producendo minori spese e risparmi. Quest'anno però solo una persona su 50 potrà usufruirne, in quanto i finanziamenti non sono sufficienti. Visti i buoni risultati, bisognerebbe aumentare i fondi e ampliare ulteriormente l’area di intervento.
Gabriele Salini
Caro Salini, il tema del disagio e della salute mentale ha solo recentemente ottenuto l’attenzione che merita da sempre. Sappiamo quanto forte fosse lo stigma che accompagnava (e ancora si manifesta) la malattia (o persino una più limitata difficoltà) psichica, estendendosi allo stesso tentativo di porvi rimedio frequentando uno psicoterapeuta.
Non si rivelava di avere un cancro come ci si vergognava di ammettere i colloqui con lo psicologo. All’emergere del fenomeno, è rimasta la resistenza di chi lo bolla come “una moda”
(quasi che vedere un film di Woody Allen o una serie tv induca a sottoporsi con leggerezza a un percorso impegnativo) o lo ritiene soltanto una perdita di tempo.
Il successo del bonus dice invece che c’è bisogno di una sanità che copra tutte le esigenze terapeutiche delle persone in modo gratuito e accessibile. Ed è un
ritardo inspiegabile quello che non fa equiparare nel Ssn una cura antibiotica a un ciclo di psicoterapia.
Constato, caro Salini, che lei è un fervente sostenitore del ricorso allo psicologo via bonus. Un recente studio universitario ha stimato un risparmio nel 2022 per il sistema pubblico di 312 milioni di euro in termini di minore assenza per malattia dal lavoro, a fronte di un investimento di 25 milioni. Mi permetto di giudicarlo un calcolo ottimistico. Ma non sarò certo io a negare l’efficacia di una misura introdotta dal ministro Speranza e proseguita dall’attuale governo.
Penso ai tanti giovani che incontrano la fatica di crescere e si scontrano con una società poco incline a fare loro posto sebbene li solletichi con mille lusinghe. La scuola dovrebbe rimanere, con la famiglia, la prima comunità capace di sostenere i ragazzi in questi decisivi passaggi. Ma laddove gli ostacoli rimangono, ben venga l’aiuto di uno specialista che non dà soluzioni precostituite, bensì permette di vedere meglio la propria situazione e trovare in sé le risorse per affrontarla in un processo strutturato secondo i diversi approcci clinici.
Il contesto è complicato dal fatto che gli psicofarmaci sono oggi molto diffusi tra le nuove generazioni e diventano più un problema che una soluzione: stordiscono e non danno vero sollievo. Sappiamo che in Paesi come la Gran Bretagna il dibattito è già spostato sulla reale efficacia della psicoterapia e si punta a non rimborsarla preferendole l’uso della chimica, ritenuta più efficace, in minore tempo.
Ovvio che una depressione grave ha bisogno di un duplice trattamento per ottenere risultati significativi. Ma si tratta di un’eccezione.
In definitiva, l’idea del bonus psicologo mi sembra particolarmente azzeccata, posto che i fondi siano adeguati alle richieste. Potrebbe inoltre costituire l’occasione di una riflessione più ampia su come il servizio sanitario possa prendersi meglio cura del benessere psichico dei cittadini, anche con forme di prevenzione mirata, superando ogni residuo pregiudizio. Certo, non si auspica una società “medicalizzata”, che tratta ogni problema personale come una patologia. Non si vuole, però, neppure una società che lascia soli gli individui sofferenti e, in particolare, quelli più poveri e bisognosi.
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