Questa sera, nel modernissimo impianto che si chiama Estádio da Luz di Lisbona, si celebra una delle tante amichevoli estive che, in questo caso, ha un valore più profondo. Spesso, questi match sono occasioni di marketing o frutto di accordi commerciali, ma Benfica-Torino ha un gusto storico che non è mai banale. C'è un trofeo in palio: la Eusebio's Cup, in memoria dello straordinario calciatore nato in Mozambico e diventato bandiera del Benfica al punto da meritare una statua proprio all'ingresso dello Stadio. Questa partita, tuttavia, è soprattutto un omaggio alla memoria di quel maledetto precedente del 3 maggio del 1949, quando il Grande Torino di Valentino Mazzola si era recato a Lisbona per celebrare, in un match amichevole, il capitano biancorosso, Francisco Ferreira. L'ultima partita del Grande Torino: fu, infatti, durante il volo di ritorno che l'aereo su cui i granata viaggiavano si schiantò contro il terrapieno della Basilica di Superga, uccidendo tutti i suoi passeggeri.Il Benfica, da quel giorno, ha con il Torino una specie di patto (ahimè, di sangue). Se due anni fa, in occasione della finale di Europa League a Torino, moltissimi tifosi del Benfica si recarono in processione a Superga, quel maledetto 4 maggio 1949 migliaia di persone si riunirono spontaneamente di fronte all'Ambasciata d'Italia di Lisbona per manifestare il loro dolore di fronte a quella tragedia. Un'immagine fotografica, testimonianza visiva di quella folla immensa, è custodita nel meraviglioso museo Cosme Damião, all'interno dello Stadio benfiquista. Nel dicembre 2014 il Cosme Damião è stato premiato quale miglior museo dell'intero Portogallo. Entrarci, in effetti, è un'esperienza inaspettata. Dedicato al fondatore, calciatore e anche primo allenatore del club, ci si potrebbe immaginare la "solita" esposizione di trofei, della polisportiva biancorossa (oltre al calcio, ciclismo, atletica, pallacanestro, pallavolo e tanti altri sport). In effetti, pochi secondi dopo l'ingresso, uno stormo di coppe quasi stordisce il visitatore, ma poi arrivano le sorprese. Per salire al secondo piano dei 4mila metri quadrati del museo si cammina lungo un "corridoio storico" che conduce il visitatore attraverso le due Guerre Mondiali, il primo uomo sulla Luna, l'assassinio di JFK, la Rivoluzione dei Garofani, la caduta del muro di Berlino, la decodificazione del genoma umano, il premio Nobel a José Saramago, l'addio a Giovanni Paolo II e tantissimi altri grandi eventi di portata planetaria. Il museo intreccia continuamente, in modo colto e raffinato, la storia del Benfica e la storia sociale non solo del Portogallo, ma del resto del mondo. Una sezione è dedicata alle contaminazioni letterarie, televisive, cinematografiche e teatrali di chi, affrontando questi versanti della narrazione, ha voluto rendere omaggio al club di Lisbona, ai suoi eroi, ai suoi tifosi. Superati alcuni totem multimediali che narrano la storia di tutti gli atleti che hanno indossato la maglia biancorossa (con sezione speciale dedicata ai capitani), arriva l'esperienza più forte: un ologramma di Eusebio esce da una profonda oscurità, interrotta solo dal brillare delle due scarpe e del pallone d'oro vinti in carriera.Elegante, vestito di bianco, Eusebio si siede e ti racconta, con la sua voce e guardandoti negli occhi, un pezzo della sua storia personale e di quella del Benfica. Pochi metri dopo si trova il tributo a lui dedicato, attraverso una narrazione per immagini, dei tre giorni di lutto nazionale proclamati dopo la sua scomparsa nel gennaio 2014. Vengono i brividi. Insomma, vedere una partita di calcio nell'Estádio da Luz, arrivandoci un paio di ore prima per visitare il museo, è una bella opportunità per riconciliarsi con il valore educativo dello sport, un esempio di come attraverso la passione per il calcio si possano insegnare storia, letteratura, educazione civica. Persino meglio che a scuola: basta volerlo.
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