Iveri viaggi sono quelli che ci iniziano al ritorno a noi stessi, condizione senza la quale ogni movimento che noi intraprendiamo si trasforma in dispersione più che in conoscenza, e viene a essere più l'accumulo rumoroso e sconnesso di esperienze che non la costruzione di una sapienza interiore. Ripenso a ciò che un vecchio, piccolo racconto islamico illustra: c'era una volta un uomo che, avendo perso la chiave di casa in qualche anfratto della sua stanza, si mise però a cercarla in strada, adducendo questa giustificazione: «Qui fuori c'è più luce, è più facile cercare». Per quanto possa sembrare strano, noi ripetiamo questo errore innumerevoli volte. Ci lasciamo attrarre da ciò che brilla di più, che è più sonoro, che pare più appetibile. Mentre invece, non di rado la chiave del nostro cuore è in un luogo silenzioso, discreto e anche poco attraente. Una volta ho sentito qualcuno evocare un proverbio in uso nella regione giapponese di Kyoto: «Non limitarti a fare. Siediti». Nella sua concisione la massima nasconde un programma esigente, ma ricco di possibilità. Credo si possa leggere nella stessa linea l'aforisma filosofico di Pascal: «Tutta l'infelicità dell'uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo». Come pure il consiglio di Gesù: «Entra nella tua camera» (Mt 6,6).
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