Nello sport succede che all'inizio della stagione vengano consegnate alle Federazioni internazionali liste di atleti molto ampie che parteciperanno alle manifestazioni di quell'anno. I numeri di maglia con i quali gli atleti giocheranno vengano di solito assegnati secondo parametri classici: prima i campioni scelgono il proprio numero preferito, poi si procede con quelli che si presume giocheranno di più e che sono, di solito, i primi 16. Infine ci sono "gli altri". Tuttavia, nello sport può succedere che "gli altri", magari giovanissimi, magari alla loro prima esperienza, se sentono fiducia incondizionata e coraggio, decidano di regalare una leggendaria lezione su cosa significhi essere una squadra. Questo è ciò che è successo alla nostra nazionale maschile di pallavolo che domenica sera, bissando il risultato delle nostre ragazze, si è laureata Campione d'Europa, schierando ragazzi semisconosciuti al grande pubblico e con sulle spalle i numeri 18, 21 o 23. Questi giovanissimi atleti, diventati improvvisamente, in una domenica di fine estate, tutti numeri 1, dimostrano ancora una volta come un forte senso di appartenenza permetta di superare egoismi e di avere insperati (e bellissimi) effetti collaterali.
Deve essere successa più o meno la stessa cosa al pugile Hassan Nourdine, nato in Marocco e ora cittadino italiano che oltre a essere atleta per vivere fa l'operaio in un'azienda metalmeccanica di Asti, dove abita. Hassan, nuovo campione italiano della categoria Superpiuma, ha battuto il connazionale triestino Michele Broili, che si è presentato sul ring con il corpo coperto da tatuaggi di evidente ispirazione nazista, come la bandiera con le lettere SS in caratteri runici, il numero 88 che negli ambienti neonazisti sta per HH (acronimo del saluto Heil Hitler) o la scritta "Ritorno a Camelot" nome di un raduno di Skinheads. «Non volevo credere a ciò che vedevo», ha dichiarato Hassan che ha vinto sul ring e anche fuori, in virtù della sua bella storia di inclusione che è lì, a ricordarci quanta forza possa regalare il sentirsi parte di una comunità che non vuole dividere, ma accogliere.
Chiudo il cerchio con una piccola celebrazione cui mi è capitato di partecipare, in una piccola città in provincia di Torino. Don Bruno Marabotto, responsabile dell'Oratorio di San Domenico di Pinerolo mi ha invitato all'inaugurazione di una piastra sportiva polivalente, donata da un politico locale ormai anziano e un po' acciaccato, che ha voluto restituire in quel modo molto concreto qualcosa al suo territorio, per ringraziare di quella responsabilità e fiducia concessa ed esercitata per tanti anni in Senato. Una cerimonia semplice, con tanti ragazze e ragazzi che una volta ancora avevano negli occhi soltanto un bisogno: essere messi nelle condizioni di appartenere a qualcosa di grande, di bello, di inclusivo.
Tre storie completamente diversa l'una dall'altra, ma che hanno in comune quell'idea di voler far parte di qualcosa capace di migliorare un po' il mondo, anche solo del pezzetto di mondo che sta intorno ai nostri piedi, per restituirlo, possibilmente più bello di come l'abbiamo trovato, a qualcuno che verrà dopo di noi.
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