V Domenica di Quaresima - Anno B
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me».A volte penso che se avessi visto Gesù nel suo passaggio qui sulla terra, se fossi stato tra quelli che hanno ascoltato la sua voce e respirato il suo fiato sarebbe per me più facile credere e forse avrei meno dubbi: vedere è toccare con gli occhi, vedere è svelamento di ombre. Tutto chiaro, tutto accessibile.Comprendo quindi profondamente la domanda di quegli stranieri che chiedono di “vedere Gesù”, avrei fatto lo stesso infatti, faccio lo stesso. E mi aspetterei, come forse quei Greci, uno sfavillio di luce, un trionfale manifestarsi di potenza e gloria: segnali di forza insomma, di invincibilità. E invece… Gesù risponde alla mia richiesta rivolgendo il mio sguardo alla piccolezza nascosta: “se il chicco di grano…”.
Mi aspetto il dirompere della maestosità e Lui mi porta nel silenzio della terra umida, dove un chicco di grano sta partorendo la sua vita. Attraverso la morte. Non ci abitueremo mai ai paradossi del nostro Dio: perdere per trovare, dare per ricevere, morire per vivere; è una logica che ci afferra e ci scuote, ci trascina in voli impensati, su traiettorie imprevedibili. “Tu non sai come spunta una gemma a primavera e come un fiore parli a un altro fiore e come un sospiro sia udito dalle stelle, tu non sai…” (David M. Turoldo). Così parla al mio orecchio questo Gesù che mi invita a leggere i messaggi segreti della vita, quei miracoli umili e silenziosi, quella lezione per cui per imparare a vivere bisogna saper morire. Come un chicco di grano, che mentre muore non sa ancora di essere spiga, ma che sente che c’è un filo invisibile che lo tiene legato al futuro, anche Gesù teme il passaggio e ne resta “turbato”; ma a noi che preferiamo scappare insegna il coraggio: insegna che un chicco marcito nella terra sta preparando un’abbondanza di vita. A me che voglio “vedere” suggerisce di “vedere un mondo in un granello di sabbia e un cielo in un fiore selvatico, di tenere l’infinito nel cavo della mano e l’eternità in un’ora.” (William Blake)
Il Dio dei paradossi mi spinge perfino a volare al di sopra dello scontato, Lui apre le mie ali e, vincendo ogni forza di gravità, mi porta nelle sue traiettorie impreviste: “quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Così mi dice, questo mi sussurra, accarezzando le mie paure e calmando il mio turbamento. I fili della vita, quelli del “molto frutto” sono invisibili, ma robusti: posso stare tranquillo nelle mani del mio Dio, nascosto come nel buio della terra, ma pronto a spiccare il volo. Chiamato dalla vita. (Letture: Geremia 31,31-34; Salmo 50; Lettera Ebrei 5,7-9; Giovanni 12,20-33)© riproduzione riservata