Non si può celebrare l'evangelista Matteo senza pensare alle tre stupende tele di Caravaggio in San Luigi dei Francesi, soprattutto in questo mese di settembre in cui, a Milano, una bella mostra sull'artista ci offre una carrellata di diciotto opere. La vicenda di Matteo, detto anche Levi, mi rimbalzava nel cuore ascoltando le infinite questioni politiche ed economiche del nostro tempo, le lamentele della nostra gente pressata da tasse e multe e beghe burocratiche. Ricordavo quella mano del Matteo caravaggesco che richiede, con il pollice pigiato sul desco del cambiavalute, la tassa romana.
Alcuni giorni fa, eravamo con due "Matteo", suor Maria Danuta ed io. Sedute a un tavolo ascoltavamo il primo Matteo (Bonanni) leggere un testo, ideato da Maurizio Giovagnoni per il Teatro Pedonale di Monza, su Caravaggio: un gioco di ombre e di luce che, per mezzo della sola voce dell'attore, si materializzavano davanti ai nostri occhi. L'altro Matteo (Riva) ha chiesto a suor Danuta di scrivere la colonna sonora dello spettacolo che quest'anno farà il giro della Lombardia. Ci siamo sentite trascinare dentro l'antro buio di quella bettola romana, dove un fascio di luce sorprende il quotidiano di Levi. La mano del Cristo accompagna il raggio di luce con un gesto preso dalla creazione di Adamo di Michelangelo Buonarroti. Matteo è seduto con altri nell'oscurità e, come gli altri, non indossa abiti del tempo di Gesù, ma abiti contemporanei dell'artista. Sono uomini del seicento i chiamati dalla luce, mentre sono ebrei dell'anno 30 della storia cristiana Gesù e Pietro.
Papa Benedetto, seguendo altre autorevoli voci, identifica l'uomo di Levi con il giovane ragazzo che conta il denaro e non s'avvede della chiamata. L'ipotesi non mi trova d'accordo, sia perché l'artista olandese Ter Brugghen nel 1621 realizza una chiamata di Matteo ispirandosi a Caravaggio e ripropone chiaramente il personaggio centrale come l'apostolo, sia perché, oltre al gesto eloquente di esigere i pagamenti dovuti, il supposto Matteo di Caravaggio ha un'evidente somiglianza con re Enrico IV di Francia. È del 1593 la celebre frase del sovrano: «Parigi val bene una Messa!». Enrico III di Navarra, di origine Calvinista, abiurò all'antica fede per salire al trono con il nome, appunto, di Enrico IV. Caravaggio dipinge, dunque, una sorta di allegoria del Sovrano rientrato nella Chiesa di Roma.
Pensavo a tutto questo mentre la voce del Matteo attore continuava la sua suggestiva lettura. L'esempio dell'artista bergamasco mi accompagnava a rileggere la vicenda di Matteo nel nostro oggi. Potesse il raggio della grazia attraversare il cuore anche dei nostri politici, italiani e non, fin troppo preoccupati della loro economia e incapaci di considerare come tutto ci sia dato per un dono che viene dall'alto, come la luce di Caravaggio. Ciò che ci salverà non saranno i nostri giochi di equilibrio, le sudditanze a un pensiero unico che vuole dominare mercati e coscienze, ciò che ci salverà sarà il riconoscimento della Verità. Come il Matteo evangelico che, a dispetto di sé, si è lasciato alle spalle la sua oscura coscienza per lasciarci vincere dalla voce suadente della Verità di Cristo.
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