È da un secolo e mezzo che ci sono i devoti lettori di Marx tra i più convinti, sofisticati cantori del capitalismo e della sua “libertà” di trasformare tutti i rapporti sociali sottoponendoli al mercato, cioè alle necessità della produzione e del consumo. Sembrerebbero spariti in quanto “comunisti rivoluzionari”. Invece sono rinati come narratori epici dello sviluppo illimitato e della sua bontà sociale garantita e necessaria. Non hanno propriamente tradito il rivoluzionario Marx: ne hanno preso solo la prima metà, l'idea secondo cui la libertà dell'impresa capitalistica finirà, anche senza volerlo, per liberare tutti dai “vincoli del passato”, visti sempre come la cosa più brutta del mondo. Si può dire che Marx (siamo nel centenario della sua nascita) fosse così innamorato del capitalismo da sognarne uno utopico, il comunismo, che avrebbe avuto tutti i suoi pregi (ricchezza in crescita) senza nessuno dei suoi difetti (sfruttamento intensivo della vita asservita alla produzione e al consumo di merci). Oggi, in un certo senso, Occidente e Oriente, sono tutti marxisti a metà, marxisti mutilati dell'utopia sociale poiché predicano che per risolvere ogni problema ci vuole più sviluppo, più crescita economica, più accumulo di denaro, più mercato, più consumi che richiedano più produzione. Si prevede e si vuole l'espansione senza confini di uno spazio economico la cui sola etica è il superamento di ogni obbligo etico estraneo alla logica economica. Non lo si dice sempre chiaramente. Si tende però a rimproverare lo Stato se non è al servizio del mercato. Questo ha trasformato le città in un vortice di mutamenti incessanti. Se le città sono o sembrano eccitanti è perché realizzano fisicamente l'onnipresenza dello scambio mercantile, perché offrono continuamente merci variopinte. La città sembra più erotica perché è lì che anche lo scambio erotico diventa fluido e onnipresente. Le merci hanno creato una loro estetica diventando eccitanti. Storicamente, qualche secolo fa, l'economia è diventata un valore autonomo svincolato da altri valori quando ha smesso di essere “economia domestica” sottoposta a doveri umani estranei al denaro. Quando i valori comunitari entrano in conflitto con i valori economici, diventano necessari l'esistenza e l'intervento di un qualche potere diverso. Questo potere può essere rappresentato dallo Stato, o in alternativa dalla resistenza morale e civile di qualche comunità. Dove sono le comunità? Negli spazi di vita comuni. Ma se è vero che le città producono una “società di estranei” impedendo la formazione di rapporti comunitari, il mercato domina incontrastato.
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