L'ultima puntata di "Parole delle religioni", la rubrica che Piero Stefani tiene da dodici anni su "Il Regno" e che si può leggere anche sul sito della rivista ( tinyurl.com/y7r8rupv ), ha un titolo eloquente: «L'arma del Rosario». A partire da «un affresco di mano popolare» custodito nella chiesa di Pazzalino, presso Lugano, l'autore ripercorre la storia della più popolare devozione mariana facendo centro sulla sua ufficializzazione (operata da Pio V nel 1569) e sulla di poco successiva battaglia di Lepanto (1571), che è oggetto dell'affresco e che riflette l'attribuzione della vittoria, da parte dello stesso Pio V, «alla protezione e all'intercessione della Vergine Maria». Stefani prosegue indicando le «altre vie» lungo le quali l'Ave Maria, «orazione profondamente cattolica» che esprime un senso di protezione esteso dal quotidiano al momento supremo, e il Rosario nel quale la ripetiamo «con sincerità limpida e profonda», hanno accompagnato i fedeli: «nella pietà personale, al capezzale dei malati, nelle veglie funebri, nel momento di pregare per le anime del purgatorio», ambiti dove non compare «la componente di lotta contro nemici esterni». Anche papa Francesco, aggiungo, non ha indicato, nel suo appello dell'inizio di questo mese a pregare il Rosario, dei «nemici esterni» dai quali difendersi; piuttosto ha invocato sulla Chiesa la protezione di Maria dal nemico per antonomasia. Stefani conclude – con lo sguardo rivolto anche a contemporanee, riuscite mobilitazioni come il «Rosario sui confini» polacchi del 2017 – che «se la recita del Rosario è giunta fino a noi non lo si deve allo spirito di Lepanto»: dunque non le metamorfosi di tale spirito ne assicureranno il futuro, quanto il suo essere «una preghiera recitata con il cuore». Sono consapevole che nella Chiesa vi sono anche altri punti di vista in proposito, e proprio per questo mi piace sottolineare lo stile pacato, rispettoso del complesso rapporto tra fede e storia, con cui in questo articolo Stefani presenta il proprio. Che a me convince.
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