Si sa, il destino di buona parte della nostra industria è legato all'export, ma così accade anche per alcuni dei prodotti d'eccellenza dell'agroalimentare nazionale. Basta pensare all'olio e soprattutto al vino. È per questo che le politiche commerciali dei Paesi grandi importatori – come Usa e Cina –, sono da sempre sotto la lente dei produttori agroalimentare. Ed è per questo che la politica commerciale della Cina preoccupa e fa pensare, soprattutto i vitivinicoltori. A fare il punto ci ha pensato Nomisma che in una sua analisi appena resa nota spiega: «Che l'Italia faticasse ad esportare il vino in Cina per ragioni commerciali ed organizzative lo si sapeva da tempo, ma se ad aumentare gli ostacoli ci si mette anche il governo della Repubblica popolare con un aumento dei dazi (già oggi pari al 14% del valore importato), allora lo sforzo per i produttori italiani rischia di diventare abissale». All'origine dell'allarme la "guerra commerciale" tra Europa e Cina per le importazioni di pannelli solari (in condizioni di dumping) e la conseguente "rappresaglia" da parte cinese sull'avvio di un'indagine nei confronti dei prezzi dei vini importati dall'Ue. Il rischio? Un duro colpo all'export di vino italiano in Cina. Anche se – spiega Nomisma – a subire gli effetti più pesanti sarebbero prima i produttori francesi. Il problema, però, sono i ritmi di crescita del mercato cinese, che per l'Italia potrebbero significare molto in termini di aumento del fatturato ma che, se la "guerra" andasse avanti, potrebbero facilmente svanire creando ulteriori difficoltà al comparto già provato dal fatto che il consumo di vino nel nostro paese è ormai sceso al di sotto di 23 milioni di ettolitri, contro i 31 di quindici anni fa.In gioco sono numeri importanti visto che la Cina, con quasi 18 milioni di ettolitri, rappresenta oggi il quinto mercato al mondo per consumi di vino, dopo Francia, Stati Uniti, Italia e Germania. «Ma – dice Nomisma –, mentre noi e i francesi beviamo meno, i cinesi tra il 1997 e il 2012 hanno aumentato dell'87% i loro consumi, tanto che hanno dovuto incrementare la produzione interna del 120% e le importazioni del 1.076%».Pare che, per ora, siano stati i francesi ad essere stati capaci di sfruttare meglio le possibilità cinesi; la Francia si è insediata già dai primi anni '80 nella Repubblica Popolare attraverso accordi di joint venture con alcuni produttori locali. Al contrario, le imprese italiane hanno sempre privilegiato forme di internazionalizzazione più semplici affidandosi principalmente ad importatori ed esportatori. Con le conseguenze del caso. La Francia oggi pesa per quasi il 50% sulle importazioni cinesi di vino, l'Italia incide per appena il 6%, in calo rispetto all'8% detenuto cinque anni fa. Ma stiamo recuperando terreno visto che nei primi 4 mesi del 2013 le nostre vendite in Cina sono cresciute del 14% in valore e del 10% in quantità rispetto allo stesso quadrimestre del 2012.L'arrivo di dazi maggiori potrebbe mandare all'aria tutto.
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