I capitani islandesi e l'importanza di essere squadra
mercoledì 23 novembre 2016
«Sono un povero Islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto il tempo della mia vita per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa», sono le parole con cui si presenta il malcapitato che Giacomo Leopardi fece dialogare con quella Natura, inevitabilmente ai suoi occhi matrigna, nel doppiare il Capo di Buona Speranza. Fugge l'Islandese, raccontando poi un sentimento che trasuda di struggente nostalgia.
L'Islanda è una terra per nulla facile da raccontare, di una bellezza maestosa, regale, ma che al contempo tiene a distanza. In Islanda comanda la natura, l'uomo è una specie di accessorio. Se ne ha una piccola percezione tremando dal freddo di fronte a maestose cascate di acqua calda che scorre su blocchi di ghiaccio o congelandosi le dita, fino alle lacrime, nel tentativo di registrare lo sbuffo di un geyser o la luce verde, fluorescente e cangiante, di un'aurora boreale.
Qui l'uomo ha sempre dovuto lavorare il doppio o il triplo per guadagnarsi la sopravvivenza. Tuttavia il 27 giugno del 2016, undici uomini e il loro condottiero hanno fatto passare un giorno alla storia dell'isola. Non è quello di una battaglia, o di una grande scoperta, ma ugualmente è il giorno in cui ogni Islandese ricorderà per sempre dove era, cosa stava facendo, chi aveva accanto.
In realtà la risposta è facile, perché il 99,8% degli Islandesi, dati di share alla mano, quel giorno erano seduti davanti a una televisione. Dentro alla televisione, invece, c'erano undici ragazzi indemoniati che, nell'ottavo di finale dell'Europeo francese, mandavano a casa la squadra degli inventori del football: l'Inghilterra. Nulla, tuttavia, succede per caso. La storia che porta l'Islanda (che ha 320.000 abitanti, all'incirca come la città di Bari) a quel 27 giugno 2016 inizia almeno quindici anni prima, all'alba del nuovo millennio.
La spinta iniziale fu la volontà dello Stato di usare la pratica sportiva come strumento privilegiato per combattere due piaghe sociali: l'alcolismo e il tabagismo. Nacque un vero e proprio welfare sportivo e calcistico, capace di coinvolgere scuola, genitori, club e che permise di realizzare una quantità enorme di impianti dove allenarsi (all'aperto, ma considerata la latitudine, soprattutto indoor) molto spesso ad accesso gratuito. L'altra parte del progetto venne affidata a un lavoro enorme sulla formazione degli allenatori, con quello che a noi pare un paradosso: in Islanda è più difficile ottenere la licenza per allenare i bambini che gli adulti e ai migliori allenatori non si chiede di lavorare con le prime squadre, ma, al contrario, nei settori giovanili.
La fortissima identità tra il Paese e il calcio oggi si riflette anche in un movimento femminile diffusissimo che ha permesso anche alle calciatrici islandesi di arrivare al quarto di finale del loro Europeo. Questo piccolissimo e meraviglioso Paese esprime eccellenza in tanti settori, nella musica, nella letteratura, nello sport: non solo il calcio, ma anche la pallamano e la pallacanestro fanno risultati pazzeschi. Questa gente si esalta negli sport di squadra, dove trova un moltiplicatore di forze che permette al singolo di andare oltre il limite dell'immaginazione.
Quattordici calciatori, di quelli qualificatisi per gli Europei francesi, sono i capitani dei rispettivi club dove giocano in giro per il Vecchio Continente. Questo racconta più di mille parole la loro capacità di leadership, di lavorare duro, di seguire incondizionatamente l'allenatore, perfino di imparare perfettamente una lingua straniera.
Questa Islanda dei quattordici capitani dimostra che muoversi insieme, in sincronia, trasforma l'impossibile in possibile. D'altronde crescere e abitare questa terra non è da tutti. Se ne è accorta l'Europa quando nel 2010 l'eruzione di un vulcano dispettoso e dal nome fiabesco, l'Eyjafjallajökull, ha paralizzato il traffico aereo di mezzo mondo e, soprattutto, quando dal 2008 al 2011 il Paese è sprofondato in una crisi economica e politica che lo ha portato sull'orlo di un precipizio.
Già, sull'orlo. Perché questa gente ha lavorato e sta lavorando ancora più duro e oggi, dopo neppure cinque anni, ha già riportato quest'isola all'eccellenza facendo in modo che il Pil, insieme e anche grazie allo sport, sia tornato a volare.
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