Il 29 ottobre Internet festeggerà i 50 anni. Possibile sia già passato così tanto tempo? Facciamo un po' di ordine. Il 29 ottobre 1969, pochi mesi dopo il primo sbarco sulla Luna, veniva trasmesso il primo pacchetto di dati tra due computer. La prima scintilla di Internet. E questo basta perché nel mondo, non solo tecnologico, molti abbiano deciso di festeggiare «i 50 anni della Rete».
Per la cronaca. Il web fu annunciato vent'anni dopo, nel marzo 1989, e il primo sito Internet lanciato nel 1991. E da allora la Rete è esplosa, cambiando per sempre le nostre vite.
Se ci pensiamo bene, che siano passati 50, 30 o 28 anni, cambia poco. Quello che conta – e tanto – è ciò che è accaduto con l'avvento della Rete e, ancora di più, quello che accadrà. So bene che immaginare il futuro, tanto più quello tecnologico, è sempre un esercizio pericoloso. Ma già oggi abbiamo davanti uno scenario che, pur nella sua complessità, possiamo provare a deliniare. La presenza della Rete nelle nostre vite sarà sempre più importante (e invasiva). Al punto che (è solo un piccolo esempio) tra pochi anni non saremo noi ad andare dal medico, ma sarà lui (in carne ed ossa oppure in formato digitale) a venire da noi per dirci che dobbiamo curarci. Saremo infatti così costantemente monitorati nelle nostre funzioni vitali, al punto che le macchine si accorgeranno prima di noi che ci siamo ammalati o ci stiamo ammalando.
Non illudiamoci. Non si scappa dalla Rete. E non si scappa dal futuro. Computer sempre più potenti analizzeranno miliardi e miliardi di dati in modo sempre più veloce e accurato, migliorando una parte delle nostre vite, ma arrivando a catalogarci e a conoscerci come nessun altro. Con tutto ciò che ne consegue anche di male: facilità di manipolazione, violazione di privacy, ricatti.
Non solo: il modo in cui la Rete sta cambiando profondamente le nostre vite, persino nel modo di ragionare e di apprendere, oltre che in quello di relazionarci con gli altri, è avvenuto, avviene e avverrà sempre più velocemente.
Oggi siamo in affanno dopo i 40 anni. Tra poco accadrà dopo i 30. E poi? E poi probabilmente avremo un mondo, anche occidentale, profondamente diviso tra chi «ha», «sa» e «usa» sempre più tecnologie e sempre più importanti, e chi vivrà ai margini e sempre più in affanno.
Uno dei rischi più grandi è che mentre la vita media umana si allungherà sempre di più, la velocità tecnologica invecchia e invecchierà ognuno di noi sempre più velocemente. Al punto che i ragazzi che oggi usano gli smartphone come maghi, davanti alla prossima invenzione rischieranno di diventare «tecnologicamente vecchi» prima di compiere 30 anni.
Non è l'unico problema. Quella «interconnessione mondiale» promessa da Internet, la quale doveva migliorare le nostre vite e allargare i nostri orizzonti, è in parte naufragata. Invece di essere sempre più aperti, siamo sempre più chiusi. E la Rete che doveva collegare menti, pensieri e speranze spesso è stata piegata al servizio dell'odio, della manipolazione, della violenza e del peggio degli uomini.
Non lo invento certo io, ma ai nostri prossimi 50 anni – non solo della Rete – non servono solo scienziati e visionari, ma anche uomini di pensiero, educatori con menti e cuori grandi e politici di spessore. Peccato che già oggi, davanti alle difficoltà di una vita sempre più invasa dalla tecnologica e dalla Rete, si avverte in tante persone di valore una crescente stanchezza. Vogliono staccare. Vogliono scappare. Chiudere tutto e riprendersi le loro vite. Hanno mille buone ragioni per farlo, ma una (a mio avviso importantissima) per non farlo. La Rete, la tecnologia e l'«uomo connesso» hanno bisogno (e ne avranno sempre di più) di persone per bene, di portatori di bene, di seminatori digitali. Di chi non cerca un «like» ma si fa carico del Bene comune. Che nel digitale è spesso ancora più fragile e sotto attacco come e più che nella vita reale.