Il Global Peace Index, (Indice della Pace Globale) è il tentativo di classificare gli Stati in base a fattori che ne determinino l'attitudine a essere considerati pacifici ed è sviluppato dall'Institute for Economics and Peace in collaborazione con esperti internazionali di geopolitca. Il rapporto dello scorso giugno indicava che sono 79 gli Stati nel mondo che, in questa prima porzione di secolo, hanno conosciuto o conoscono la guerra. Lo Stato più pacifico? L’Islanda, che conferma la sua leadership dal 2008, anno d’avvio dell’indice. Lo Stato che, invece, paga il più alto contributo a una condizione permanente di conflitto è l’Afghanistan, seguito in questa terribile classifica, da Yemen, Siria, Sud Sudan, Repubblica del Congo, che precedono Russia e Ucraina. Le guerre di cui si parla di più, insomma, non sono affatto le uniche, come sanno bene i lettori di “Avvenire”. Se aggiungiamo a questo scenario la memoria di due giorni orribili (il 7 ottobre 2023, con l’attacco di Hamas a Israele, e il 22 marzo scorso, con l’attentato terroristico al Crocus City Hall di Mosca) emerge un quadro agghiacciante dello stato del pianeta. Questo 2024, tuttavia, celebrerà uno dei momenti più alti della comunione fra i popoli quando, il 26 luglio, a Parigi si accenderà il braciere olimpico. È la storia stessa dei Giochi a ricordarlo, soprattutto quella antica. L’appuntamento con i Giochi Olimpici è stato infatti rinviato soltanto due volte: una ce la ricordiamo bene, era il 2020, a causa della pandemia; l’altra risale al 65 d.C. quando l’Imperatore Nerone fece spostare di due anni i Giochi di Olimpia perché concomitanti alle “Neronia”, un certame quinquennale da lui stesso imposto a Roma e al quale doveva presenziare. L’Imperatore poté così recarsi in Grecia da “atleta” trionfando (si fa per dire) in sei discipline, fra le quali la corsa dei carri dove, lui caduto, gli sfidanti si ritirarono per timore di superarlo. Ciò che, invece, nella antica storia dei Giochi non successe mai furono sospensioni a causa di guerre. Dal 776 a.C. al 393 d.C. (quando l’imperatore Teodosio e Ambrogio, vescovo di Milano, li abolirono in quanto “festa pagana”) si contano 292 edizioni e 1168 anni di storia in cui i Giochi furono in grado di fermare le guerre: per intenderci, un periodo di tempo equivalente a quello che passa dall’incoronazione di Carlo Magno all’assassinio di Martin Luther King. Invece, nel solo XX secolo, per ben tre volte fu la guerra a fermare i Giochi: nel 1916 a Berlino, nel 1940 a Tokyo e nel 1944 a Londra. C’è grande preoccupazione per ciò che potrà succedere a Parigi, lo ha ricordato spesso la sindaca Anne Hidalgo che avrà l’ingrato compito di garantirne la sicurezza, a maggior ragione durante una cerimonia di apertura che si svolgerà sulla Senna e non, come consuetudine, all’interno dello stadio olimpico. Vengono i brividi a pensare che il 7 ottobre e il 22 marzo gli attacchi siano stati organizzati in occasione di eventi musicali, mentre a Monaco, nel 1972, furono presi di mira proprio i Giochi Olimpici. La musica e lo sport sono obiettivi sensibili, proprio in quanto potenti linguaggi universali e di pace, ma non è questo il momento di avere paura. L’estate del 2024 sarà un momento epocale, non voglio sembrare retorico, per la storia dell’umanità, perché proprio ai Giochi di Parigi potrebbe (e dovrebbe) essere assegnata la più incisiva offensiva diplomatica di questo minaccioso inizio di millennio.
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