Dopo Steve McCurry, Elliottt Erwitt, Tina Modotti, Henri Cartier-Bresson, al Mudec è il momento di Robert Capa, "il più grande fotoreporter di guerra del mondo", una leggenda che ha inventato un modo completamente nuovo di fare fotogiornalismo. Un omaggio a 110 anni dalla sua nascita: all’anagrafe il suo vero nome è Endre Ernõ Friedmann, ebreo ungherese naturalizzato americano, nato il 22 ottobre 1913 a Budapest e costretto a lasciare a 17 anni l’Ungheria, a causa delle sue simpatie socialiste. Nel 1931 Endre arriva a Berlino dove si fa strada alla storica agenzia Dephot, che l’anno seguente lo invia a Copenaghen a una conferenza di Lev Trotsky. L’accesso è vietato ai fotografi ma Endre riesce a entrare e a scattare, grazie alla piccola Leica che tiene in tasca: le foto finiscono in prima pagina. Con l’ascesa del nazismo in Germania, alla fine del 1933 Endre si sposta a Parigi, la città del suo destino. Qui conosce Henri Cartier-Bresson e David "Chim" Seymour, con i quali fonderà nel 1947 l’agenzia Magnum Photos, e Gerda Taro, sua compagna di vita e lavoro, assieme alla quale creerà nel 1936 il personaggio "mitologico" di Robert Capa, narratore della Storia, quella con la S maiuscola.
In collaborazione con l’agenzia Magnum Photos la mostra - curata per il Mudec da Sara Rizzo - riunisce 80 fotografie, alcune mai esposte prima in Italia. Ecco Robert Capa. Nella storia" (fino al 19 marzo): ritratti in bianco e nero e i suoi grandi reportage di guerra, fra gli orrori e le miserie del mondo, ma anche i volti di uomini e donne nei loro momenti di gioia e di riscatto. Immagini che raccontano quel presente per noi diventato storia, ma che parlano al futuro. Dopo aver fotografato le manifestazioni legate al Fronte Popolare francese, Capa è attratto dalla guerra civile di Spagna, che documenterà insieme a Gerda Taro, che proprio sul fronte iberico morirà il 26 luglio del 1937. Un evento terribile che lo segna profondamente. L’anno successivo il fotografo si allontana dall’Europa trascorrendo otto mesi in Cina per documentare l’invasione giapponese e la resistenza del Kuomintang. Guerra ma anche la vita dei civili nella capitale provvisoria Hankou, divisa fra la paura degli attacchi aerei e momenti di quotidiana poesia. Nasce così il capolavoro fotografico Bambini giocano nella neve, come i "pretini" che l’artista Mario Giacomelli immortalerà in Italia più di vent’anni dopo.
Bambini giocano nella neve, Cina, 1938 - © Robert Capa © International Center of Photography / Magnum Photos
E poi arriva la Seconda Guerra Mondiale. Dal 1941 al 1945 Capa segue alcuni dei momenti cruciali del conflitto, che ripercorrerà poi nel romanzo Slightly out of Focus (1947): Londra devastata dal blitz, il fronte nordafricano e la conquista alleata della Sicilia. Vicino a Troina scatta Contadino siciliano indica a un ufficiale americano la direzione presa dai tedeschi. Risale l’Italia e in occasione del D-Day, nel 1944, Capa si unisce alla prima ondata di truppe che sbarcano a Omaha Beach.
Nell’estate del 1947 riesce nell’impresa, quasi impossibile per un fotografo occidentale, di oltrepassare la cortina di ferro e visitare l’Unione Sovietica post-bellica, accompagnato dall’amico John Steinbeck: Mosca, le rovine di Stalingrado; in Ucraina, quel che resta della città di Kiev e in Georgia, Tbilisi; non mancano le visite ad alcuni kolchoz, le fattorie collettive. Poi Israele e l’Indocina per seguire la fine della guerra fra la Francia e i Viet Minh. Il 25 maggio partecipando a una missione sul delta del fiume Rosso per seguire un gruppo di soldati (la sua ultima foto, che chiude la mostra), calpesta una mina antiuomo e muore dopo poche ore. Lì finisce la sua vita. Lì comincia il suo mito. "La foto è una sezione di un fatto, che mostra la realtà vera a chi non era presente molto più di quanto possa fare l’intera scena". Grazie ai suoi occhi e ai suoi scatti, abbiamo potuto vedere la realtà.
Una foto e 633 parole.