I detrattori la consideravano solo una mossa di facciata. Eppure l'idea che Facebook (oggi Meta) si dotasse di un Comitato di controllo che vigilasse sulla libertà di pensiero sui più grandi social del mondo (Facebook e Instagram), un anno e mezzo fa, era apparsa ai più un'iniziativa importante anche se imperfetta (possono 20 persone decidere per 3,5 miliardi?, ci eravamo chiesti su Avvenire).
Oggi, alla luce di ciò che è accaduto nelle ultime ore, sembra che i detrattori avessero in parte ragione. Perché poche ore fa l'intero sistema è crollato su un tema di scottante attualità come la libertà di pensiero su Facebook e Instagram sulla guerra in Ucraina. Fino ad oggi i 20 saggi scelti tra figure di spicco del mondo accademico, politico, dell'informazione e della giustizia si sono pronunciati su meno di 20 casi. E praticamente tutte le volte Meta ha accettato il verdetto che da statuto del Comitato ha «il potere di confermare o annullare le decisioni sui contenuti dei social dell'azienda ed è vincolante, nel senso che Meta deve implementarle, purché tale applicazioni non violino la legge».
Tutto sembrava semplice. Poi è arrivata l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Lontano dai riflettori Meta ha così chiesto al suo Comitato per il controllo di emettere un parere su come moderare i contenuti durante la guerra, affrontando questioni cruciali del tipo: in quali circostanze gli utenti possono pubblicare foto di cadaveri o video di prigionieri? Senza però attendere una risposta del Comitato ha prima deciso di consentire agli utenti post violenti contro i soldati russi e Vladimir Putin, e poi ha parzialmente cambiato idea: si alle critiche, no alla violenza. Nel frattempo per la Russia «Meta ha fatto “incitamento all'odio razziale”, e per questo Instagram e Facebook sono stati chiusi».
Pochi giorni fa, il colosso di Zuckerberg ha ritirato la richiesta di un parere al suo Comitato di controllo, il quale si è infuriato. «Il ritiro – ha scritto poche ore fa sul suo sito – non diminuisce la responsabilità di Meta di considerare attentamente i problemi di moderazione dei contenuti sorti durante questa guerra. Tanto più che la responsabilità dell'azienda di difendere la libertà di espressione e i diritti umani nel frattempo è addirittura aumentata».
Non è una cosa poco. Perché se Facebook (cioè, Meta) ha speso fino ad oggi 130 milioni di dollari solo per costruire un consiglio dei saggi che poi non ascolta su questioni dirimenti, allora avevano (e hanno) ragione i detrattori che sostenevano fosse solo una mossa pubblicitaria. Con tutto ciò che ne consegue. Sul campo resta una seconda questione non meno importante. Ritirando la richiesta di parere al suo Comitato di controllo, Meta avrebbe accennato a generiche questioni di sicurezza. Per l'esperto Casey Newton la mossa potrebbe essere legata alla sicurezza dei dipendenti del colosso digitale in Russia. Da quando per il Governo di Putin Meta è una società «estremista», i suoi impiegati (e i loro familiari) rischiano non solo di venire perseguitati, ma anche incarcerati. Molti dipendenti nel frattempo sono stati fatti uscire dal Paese, ma nessuno (tranne forse in Meta) sa quanti siano rimasti in Russia insieme ai loro familiari (tanto più che per molti russi non esiste alcuna guerra e quindi alcun pericolo). Nessuno si augura che sia questa la ragione del ripensamento di Meta. Anche perché se scoprissimo che alcune persone starebbero rischiando in Russia la propria libertà perché altre possano scrivere ciò che vogliono sui social sul conflitto in Ucraina, sarebbe una tragedia nella tragedia.
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