«Ragazzi, ma voi come vi sentite qui in Ticino?» «Diversamente italiani» mi rispose Claudio, interista sfegatato. Tanti anni dopo, nello stesso liceo cantonale di Lugano, dove studiò anche Elly Schlein, me lo ha confermato Vittoria, illustrando ai compagni che l’ascoltavano la sua esperienza di volontariato coi minorenni non accompagnati ospiti nel centro di accoglienza sull’altra sponda, in località Paradiso, lei che nella scuola della mattina, così dicono le professoresse, non è proprio la prima della classe. Ogni volta che ritorno al Parco Ciani provo un’emozione particolare: sarà perché da queste parti, fra banche e mercati, dove persino Totò prese casa, si mischiano tante generazioni di immigrati: quelle trascorse dei nostri nonni, muratori in canottiera bianca di cotone a righine che d’estate, durante le pause dal lavoro in cantiere, giocavano a carte in trattoria, e quelle di oggi, con le famigliole africane a passeggio lungo il canale di Cassarate. Se vogliamo provare a capire chi siamo dovremmo fare uno scarto di lato, guardarci da fuori, a pochi passi dal vecchio confine di Chiasso: arrivi in stazione, scendi giù a piedi (la funicolare teniamola per il ritorno in salita), superi i portici, lasci i bagagli all’hotel Pestalozzi e scopri di essere stato anche tu un profugo.
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