Oggi Giulio Ferroni riceve a Tarquinia il premio Cardarelli per la critica letteraria. Nel gennaio scorso l'editore Donzelli ha pubblicato un'edizione ampliata del libro più originale di Ferroni, Dopo la fine, uscito nel '96 da Einaudi. Il sottotitolo era allora «Sulla condizione postuma della letteratura». Ora ne troviamo uno più aperto e interrogativo: «Per una letteratura possibile».
Ma quando parla di letteratura (antichi, moderni e postmoderni) Ferroni usa tutte le sue conoscenze storiche, teoriche e comparatistiche per spiegare «che cos'è la letteratura» oggi e che cosa può essere nel prossimo futuro. Descrive, analizza, valuta le situazioni e i contesti sociali in cui l'attività letteraria si manifesta. E attività letteraria non significa solo un'insieme di testi definiti da qualità specifiche (miti, idee, linguaggi). La letteratura è anche l'uso che ne facciamo: sono i modi di produrla, di leggerla, di trattarla come feticcio istituzionale o come fonte, come strumento di conoscenza e di autocoscienza. Ferroni è un critico che agisce con tutti gli strumenti di analisi, portando perciò la critica letteraria verso la critica del nostro presente tecnologico e antropologico.
Per Ferroni la letteratura, nonostante la tradizione e l'autorità su cui si fonda, è sempre in pericolo e a rischio: è una scommessa in cui viene messa in gioco la nostra capacità di capire ancora il passato e di attualizzarlo. Difendendosi dalle accuse di pessimismo e catastrofismo, Ferroni ha scritto: «L'esperienza terribile del Novecento mostra in tutta evidenza come le innumerevoli catastrofi, vere e proprie apocalissi, siano state prodotte da visioni positive e ottimistiche, da ideologie e da progetti (") che hanno messo in gioco "tutto" pur di mirare alla propria realizzazione». Filosofie del Progresso e utopie dell'Uomo nuovo hanno mostrato che nel loro ottimismo covava un potenziale distruttivo inimmaginabile. «Il pessimismo e l'ansia della fine» avverte invece Ferroni «tendono a proteggere la vita, a salvarne i fondamenti».
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