Caro Avvenire, di una cosa sono certo. Chi possiede un concetto adeguato dell’esistenza non uccide. La riprova è che noi non definiamo malvagio o criminale il ragazzo che ha accoltellato un altro giovane per rubargli gli auricolari. Li chiamiamo soggetti malati di vuoto esistenziale o, semplicemente, “balordi”, cioè persone prive di senso.
Luciano Verdone
Teramo
Caro professor Verdone,
dalla sua lunga lettera traggo questa sintesi che lei stesso premette, e che ci offre molti spunti per la riflessione nel momento in cui arrivano a ripetizione notizie dolorose e sconcertanti di delitti commessi da giovanissimi. Due temi fondamentali emergono dalle sue righe, sui quali lei ha posizioni chiare e precise. Su una mi permetto di dissentire, sull’altra concordo.
Non può essere “normale” chi uccide per pochi euro uno sconosciuto, massacra i suoi parenti più stretti o, addirittura, sopprime il proprio figlio appena partorito. Dunque, se non rientra nella tipicità dei comportamenti, è una persona malata, che non ha il controllo dei propri impulsi deviati e va curata piuttosto che biasimata o condannata da un tribunale a stare in prigione. È la tesi, per esempio, del noto psichiatra Simon Baron-Cohen, che l’ha formulata in alcuni libri tradotti anche in italiano.
Ma è pure la convinzione di filosofi e scienziati che negano la libertà umana: non possiamo sfuggire a un destino di concatenazione di cause materiali che ci portano ciascuno a un percorso determinato eppure privo in sé di senso e finalità. Non esistono allora i “cattivi”, bensì individui più o meno fortunati per essere nati in contesti più o meno favorevoli. Penso invece che abbiamo in molte occasioni, non sempre e non nello stesso grado, l’opportunità di scegliere tra il bene e il male.
E ipotizzo che questa facoltà fosse disponibile anche ai ragazzi che hanno dato libero sfogo alla violenza che c’era in loro, sebbene, mentre commettevano il delitto, potessero risultare meno lucidi e consapevoli di quanto lo siano di solito (e ne sarà giustamente tenuto conto da parte dei giudici). Ed essendo persone dotate di ragione e sentimenti – non automi – potranno – lo speriamo – imboccare un percorso di pentimento e riscatto, dopo l’adeguata pena.
Resta vero, tuttavia – anche la ricerca lo conferma –, che noi umani siamo creature che trovano più facilmente il loro equilibrio nel lavorare, anche manualmente; nell’essere occupati in attività che siano impegnative e con uno scopo chiaro, né troppo usuranti né troppo lievi; nell’avere obiettivi da raggiungere in un ambiente che non sia eccessivamente confortevole.
Una pedagogia forse un po’ semplificata, caro Verdone, certamente lontana dalla condizione di molti giovani delle nostre società, immersi, apparentemente senza molti problemi, in un mondo virtuale che è facile e insieme ansiogeno, incapace di dare stimoli adeguati al modo in cui siamo fatti. I delitti però si registravano anche quando c’erano i collegi dalla rigida disciplina. Proprio perché, ritengo, siamo in genere liberi di comportarci da santi o da delinquenti. E questa libertà deve spingerci a “creare senso” per noi e per gli altri. Mi sembra un ottimo compito cui dedicarsi tutti per evitare quel tipo di noia esistenziale che può generare tanti guai (anche se qualche volta ispira capolavori dell’arte e del pensiero).
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: