«Ecosì, a furia di dormire poco e leggere molto, gli si inaridì il cervello, al punto che uscì di senno». Siamo all'inizio del Don Chisciotte di Cervantes. In un punto cruciale: il nobile infatuato di cavalleria perde la sua mente leggendo libri di avventure, ogni notte, vivendo «da un crepuscolo all'altro crepuscolo», come scrive l'autore, e quindi vegetando semiaddormentato nelle ore destinate per i comuni mortali alla veglia. Don Chisciotte, insomma è già rappresentato nella follia incombente, a causa del suo distacco dalla realtà, dal suo vivere sempre e totalmente di notte, tempo del sonno e del sogno, e sui libri. Mi rendo conto del rischio che corro con questa riflessione: in un'epoca di zucconi, di studenti che non studiano, giovani che non hanno voglia di apprendere e adulti in cui scarseggiano impegno e volontà di ammaestramento, non sembra intelligente e proficuo criticare un lettore accanito, per giunta fissato su un ideale, per quanto illusorio. Eppure, nonostante i mala tempora che currunt, è fondamentale ricordare che l'uomo deve vivere il giorno alla luce del giorno, la notte nell'incanto della notte. I libri, cioè le idee e i sogni, devono esistere, pena l'estinzione del genere umano. Ma per nutrire la vita, non per sostituirsi alla vita stessa, cancellandola.
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