La vicenda potrebbe apparire piccola, poco significativa, ma se allarghiamo il campo e passiamo dal dettaglio al panorama, assume ben altro significato. Il "dettaglio" è la stagione sportiva di un atleta azzurro di grande potenzialità. Un atleta e (anche se il termine è orrendo) un personaggio sul quale l'Atletica azzurra puntava moltissimo in vista dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro. Si chiama Gianmarco Tamberi, detto Gimbo, e la sua disciplina è il salto in alto. Una manciata di giorni prima di partire per Rio, il 15 luglio 2016, l'atleta marchigiano vinceva il meeting internazionale del Principato di Monaco nel modo più drammatico che si possa immaginare, sportivamente parlando. Supera l'asticella a 2,39 metri, poco al di sotto di una rete da pallavolo o della traversa di una porta di calcio, per capirci. È il suo record personale, la seconda prestazione assoluta dell'anno e Rio è vicinissima.
L'adrenalina della vittoria, la voglia di dimostrare che ai Giochi lui sarà protagonista assoluto, la naturale tendenza dei campioni di voler (letteralmente, in questo caso) spostare l'asticella sempre più in alto, lo spingono, a gara già virtualmente conclusa, a tentare i 2,41 metri. Al secondo tentativo Gimbo urla dal dolore e scoppia in un pianto senza bisogno di interpretazione. Si capisce immediatamente che si è fatto molto male e a Rio, da atleta, non ci andrà. Ci andrà su invito del Coni, a fare il commentatore (la Rai lo userà in modo anche un po' eccessivo, in verità). Farà il tifoso, il "motivatore", l'opinionista qualche volta perfino (che brutto!) il portafortuna. Perché Gimbo è un atleta e un personaggio. È spigliato, brillante, estroso. Come si fa ad essere indifferenti a uno che prima delle gare importanti si rade la barba solo a metà, mostrando un profilo glabro e uno irsuto che se non si sta attenti, a seconda dell'inquadratura, sembra di vedere due persone diverse?
Dopo Rio, incomincia un percorso ben conosciuto a tutti gli atleti del mondo, fatto di luci che si spengono, di dolore, di terapie, di ripresa, di risultati che non vengono, di scoramento, di speranza, di piccoli segnali da interpretare. Tutti gli atleti professionisti, in occasioni di infortuni gravi, scompaiono dal palcoscenico e devono trovare motivazioni fortissime, non più confrontandosi con i propri avversari, ma guardandosi allo specchio. La competizione si sposta: sei tu contro te stesso. Ci mette tanto, Gimbo, a ritrovare quella brillantezza che, probabilmente, ancora non c'è. Però torna sopra quota 2,30 metri e il 26 agosto scorso, a Eberstadt in Germania, salta 2,33 metri. È un piccolo trionfo. Non è ancora il suo primo salto sopra i 2,40 metri, la distanza "maledetta" che cancellerebbe tutto il dolore di questi due anni, ma Gimbo è tornato.
Pochi giorni dopo, tuttavia, una scelta incomprensibile. L'atleta, ricade nel demone della spettacolarizzazione e della dimensione social del suo personaggio. Decide di indire un sondaggio sul suo profilo Instagram riguardante la sua presenza (o meno) ai Campionati assoluti di Atletica nel prossimo fine settimana, a Pescara. La sua programmazione, infatti, non prevede la partecipazione a questa gara, ma sulle ali dell'entusiasmo Gimbo lo lascia decidere ai suoi tifosi, ovvero persone che (facendo il proprio lavoro di tifosi) non hanno nessuna competenza, nessuna conoscenza del metodo, del percorso, degli obiettivi a medio o a lungo termine. Il risultato, abbastanza scontato, è un "Sì" e Gimbo, dunque, scenderà in pedana. D'altronde l'intelligenza delle folle è un fatto un po' sopravvalutato, dal sondaggio su Barabba e Gesù in poi.
Auguro il meglio a Tamberi. Gli auguro di fare bene questa gara, ma soprattutto di dare continuità al suo lavoro, perché fatica e sacrificio conducano a una medaglia olimpica al collo, a Tokyo nel 2020. Però non posso ricordare a lui e, a tanti altri sportivi impossessati dal demone dei social, che fare sport è un'altra cosa. Non passa attraverso un like o una emoticon, è molto più faticoso (e mille volte più bello) del digitare su una tastiera. Fare sport è una cosa vera, reale, tangibile. Il resto sono stupidaggini da lasciare volentieri a chi, senza competenze, ogni sera spara la sua cartuccera di giudizi sulla formazione della nazionale di calcio, sull'opportunità di vaccinare i nostri figli, sul da farsi con i flussi migratori o sul restare o meno in Europa. Con un'unica condizione rigorosamente necessaria: non saperne nulla. Gimbo, lo sport è una cosa seria. Ricordalo a te stesso e a tutti i tuoi tifosi.
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