III Domenica di Pasqua - Anno B
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati. Di questo voi siete testimoni».
Così fa Dio, appare e scompare, si rende visibile e invisibile, tace e ci accarezza con la sua voce impercettibile. La Risurrezione di Gesù ci fa fare dei salti impensati, ci spinge a conciliare gli opposti: morte e vita, carne e spirito, paura e certezza, tristezza e gioia. Quanti sbalzi di umore, quanti scossoni per quei poveri discepoli che forse avrebbero preferito restarsene rassegnati a piangere: era stato così facile credere alla morte del loro maestro, ora è invece così difficile credere alla vita. Molto più facile sbalordirsi di fronte a un fantasma piuttosto che al ritorno in vita di Gesù: eppure tra loro c’erano anche quei due che lo avevano appena incontrato là ad Emmaus. A noi, che oggi leggiamo, sembra impossibile che pure loro fossero “sconvolti e pieni paura” nel vedere Gesù lì in mezzo, arrivato all’improvviso, arrivato come al solito senza far rumore.
Così fa Dio, torna e non si mette in trono, parla e non rimprovera, ma placa i cuori agitati. E ancora una volta mostra i propri documenti di identità, le sue ferite: “Guardate, toccate, sono io in carne e ossa…” Non un fantasma, non un bel ricordo su cui piangere, ma vivo, tanto vivo da voler mangiare, insieme a loro.
Forse aveva desiderato che i suoi, nel vederlo, gli fossero saltati al collo e lo avessero abbracciato stretto stretto; forse si aspettava un’accoglienza più festosa, non un misto di tristezza e di paura e quell’incapacità di abbandonarsi alla gioia; forse avrebbe voluto vedere volti rigati da lacrime di felicità e non visi spaventati e dubbiosi. Sarebbe stato bello vederli, come bambini, tuffarsi nel mare della vita.
Ma Lui ricomincia sempre da capo, così fa Dio. E di nuovo a spiegare che proprio così doveva accadere, che quando si ama si ama sul serio, “sino alla fine” (Gv.13,1) e che questo folle amore di Dio riesce a oltrepassare ogni confine, perfino quello definitivo messo dalla morte.
Di questo saranno “testimoni” i suoi discepoli, noi compresi. Testimone è non solo chi viene chiamato ad affermare qualcosa che ha visto o ascoltato; testimone è anche quel pezzetto di legno che i corridori di una staffetta si passano di mano in mano, di corsa, tra sudore e fatica. Chissà, forse siamo chiamati ad essere proprio quel bastoncino che corre veloce nelle mani di Dio. Allora, cerchiamo Gesù là dove è apparso da risorto, nei posti umili come la strada, la casa, il giardino, la sponda del mare.
Proviamo il fremito che ci dà il ritrovarlo, cerchiamo di sentire il nostro cuore battere all’impazzata perché è tornato; piangiamo di gioia nell’ascoltare le parole che sussurra a noi confusi e disorientati, con il cuore sempre vagabondo tra dubbio, stupore e gioia.
(Letture: Atti 3,13-15.17-19; Salmo 4; Prima Lettera di San Giovanni 2,1-5a; Luca 24,35-48)
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