Togliere, limare, diminuire: alla fine, sono sempre questi i verbi del presente. Che fanno bene alla testa prima ancora che al cuore, perché probabilmente aiutano a vivere meglio. Ma che presuppongono di rimettere qualcosa “dentro” per compensare il vuoto cosmico che lasciano e che ci circonda fuori. Vogliamo mangiare senza olio di palma, certamente, ma la nostra è anche la civiltà senza sentimenti, senza tempo, senza cortesia, senza confidenza, senza vita. Eliminiamo, razionalizziamo, “ottimizziamo” come dicono quelli che parlano difficile e sanno fare i bilanci. E il conto finale è più magro, in tutti i sensi. Mancano i contenuti, ma anche semplicemente i “con” e tutti gli accessori limitrofi. I confini allargati, i congiuntivi giusti, i consigli utili, le conseguenze positive, i contatti costruttivi, i concetti intelligenti. Senza sale è diventato un modo di essere di troppi, un gusto amaro di rinuncia che non fa bene affatto. Senza tanto, resta quasi nulla. E la certezza che si stava meglio solo quando c’era qualcosa che condiva il tutto. Per questo la nostra generazione cresciuta a forza di “senza”, dovrebbe rivalutare il valore del “con”. Prefisso di condividere, che poi è voce del verbo moltiplicare. Vorrei ricordarmi di non dimenticarmelo, con forza e senza dubbi.
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