Questo non è essere morti,/ questo è tornare al paese, alla culla:/ chiaro è il giorno/ come il sorriso di una madre che aspettava./ Campi brinati, alberi d'argento, crisantemi/ biondi; le bimbe vestite di bianco/ col velo color della brina,/ la voce colore dell'acqua ancora viva"/ Le fiammelle dei ceri, naufragate/ nello splendore del mattino/ dicono quel che sia questo vanire/ delle terrene cose - dolce -,/questo tornare degli uomini,/ per aerei ponti di cielo",/ all'altra riva, ai prati del sole.
Giunti allo scorcio del mese tradizionalmente dedicato ai defunti dalla pietà popolare, ci soffermiamo in questa giornata di riposo ancora una volta sulla morte. Lo facciamo coi versi di una poesia intitolata Funerale senza tristezza, versi pieni di dolcezza, nonostante il fremito di chi li ha scritti: Antonia Pozzi, poetessa milanese, decise infatti il 3 dicembre 1938, a soli 26 anni, di togliersi la vita vicino all'abbazia di Chiaravalle, in quella campagna ove si snodavano proprio quei cortei funebri, descritti così teneramente dalla sua poesia.
Oggi, soprattutto nelle grandi città, la morte è "industrializzata", affidata ad agenzie efficienti, a sparute presenze di conoscenti spesso distratti, a riti sbrigativi. Certo, non si può ritornare a quei funerali di paese che anch'io ricordo con emozione, così come li descrive la poetessa. Tuttavia bisognerebbe "umanizzare" ancora la morte, soprattutto quella del fedele, mostrandone non solo la "normalità" (vivere e morire sono due atti della stessa vicenda) ma anche la sua speranza. È stupenda l'immagine finale di Antonia Pozzi: attraverso i ponti del cielo noi approdiamo all'altra riva dell'esistenza, "ai ponti del sole", ove Dio ci attende per raccoglierci nel suo infinito e nella sua eternità.
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