C’è una strada in provincia di Agrigento che la si percorre come se si sfogliassero pagine di letteratura senza tempo. È la strada statale 640 “di Porto Empedocle”, rinominata la “Strada degli Scrittori” in un progetto nato tempo fa da un’idea del giornalista Felice Cavallaro che – coinvolgendo intellettuali, istituzioni nazionali e comunità locali – ha proposto un viaggio fra cultura e turismo, per conservare la memoria di grandi autori come Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Antonio Russello, Pier Maria Rosso di San Secondo e molti altri. In una estate con un turismo di “prossimità”, per i siciliani e gli italiani, è stata ampiamente battuta da visitatori e lettori alla scoperta di questo pezzo di Sicilia. Su quest’asse si parlano e si incontrano Sciascia e Pirandello. A loro due, “Figli della stessa terra” sono state dedicate la settimana scorsa ad Agrigento, a Villa Genuardi, anche due giornate di incontri, studi e performance teatrali, secondo una suggestione di Michele Benfari, soprintendente dei Beni Culturali e Ambientali di Agrigento, con la direzione artistica del critico letterario Salvatore Ferlita e realizzata con il contributo dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana.
Si parte da una considerazione di base: che Sciascia non ci sarebbe stato senza Pirandello. «Pirandello e Sciascia – sostiene Ferlita – rappresentano una sorta di inscindibile binomio, una abbagliante e misteriosa combinazione (tutta agrigentina)». Un viaggio in questo prezioso universo letterario che è fatto di parole, ma anche di immagini. Di Sciascia ci sono straordinarie foto e ritratti. Di Ferdinando Scianna, sicuramente, che proprio allo scrittore di Racalmuto (e a Borges) dedica una mostra alla Reggia di Colorno (inaugurata sabato e aperta fino all’8 dicembre). Ma anche del ragusano Giuseppe Leone. Scatti conosciuti e ammirati in tanti libri e mostre che hanno restituito l’immagine di Sciascia anche a chi non ha avuto modo di conoscerlo o incontrarlo. Ad Agrigento, ad accompagnare il percorso di studio “Pirandello e Sciascia, figli della stessa terra”, fino al 31 ottobre c’è anche la mostra (sempre a Villa Genuardi, visite dal lunedì al venerdì, solo di pomeriggio: 15.30-18.30, ingresso libero) con le immagini, alcune inedite, di un altro interessante fotografo siciliano: Angelo Pitrone. Trenta scatti quelli realizzati dal fotografo agrigentino (insieme a una dozzina di foto di Pirandello e famiglia provenienti dagli archivi della Soprintendenza) nei luoghi pirandelliani delle campagne del Caos e a Porto Empedocle, ma anche scorci di Racalmuto, cittadina che cento anni fa, l’8 gennaio 1921, diede i natali a Sciascia e infine una dozzina di intensi ritratti del “maestro di Regalpetra” realizzati da Pitrone negli anni Ottanta, alla Noce, la casa di villeggiatura dove hanno preso vita molte pagine dello scrittore politico “più influente e scomodo della seconda metà del Novecento”. Ci sono scatti rimasti in un cassetto per anni, di Sciascia nello studio e con la moglie Maria Andronico davanti al caminetto, i ritratti insieme ad amici e artisti come Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo, Ferdinando Scianna e Leonardo Cascio (nella foto), ma anche quelle dei funerali, che ora vengono esposte come un ulteriore elemento di conoscenza, per addentrarsi nel mondo di Sciascia. E con lui di Pirandello.
Leonardo Sciascia alla Noce posa per lo scultore Cascio, 1986 - Angelo Pitrone
«Sciascia fu legato a Pirandello da una dipendenza affettiva e esistenziale. Si trattò di un legame molto personale, quasi viscerale, che spinse Sciascia in ogni momento della carriera di scrittore a tornare allo scrittore agrigentino, tanto da rivolgersi a lui, a un certo punto, chiamandolo “padre” – riprende Ferlita, ripercorrendo gli scatti di Pitrone –. Ecco, questa assunzione di paternità non è stata occasionale, meramente accidentale: Sciascia raccontò come avvenne il primo incontro con l’autore di Uno, nessuno, centomila, avvenuto grazie a uno schermo su cui scorrevano le vicende del Fu Mattia Pascal. Ma al di là di questa circostanza va detto che i due autori hanno condiviso le radici etniche, si potrebbe pure dire telluriche della loro provincia: Racalmuto non dista poi tanto da Porto Empedocle, questi due paesi sono collegati da quella che può essere definita la strada dello zolfo. Sia Sciascia che Pirandello, non dimentichiamolo, sono stati figli di uomini della miniera».
Assieme a pochissimi altri, «ebbe modo di rilevare Sciascia, Pirandello col suo cognome ha dato forma a un aggettivo, “pirandelliano” appunto, in grado di sintetizzare una condizione che travalica i confini geografici, che tracima dalle pagine per intercettare qualcosa di più vasto e di più inquietante, catalizzando una rilettura dell’uomo e del mondo che era nell’aria nel secolo scorso. Un aggettivo di cui, però, nel tempo – rileva Ferlita – si è fatto abuso, sciorinato alla stregua di un mantra superstizioso, issato a mo’ di ipoteca quasi metafisica, forse meglio di giustificazione antropologica dinnanzi agli scempi che Agrigento ha subito. Pirandelliana è nella città dei templi la situazione politica, pirandelliano è il clima che si respira per le contraddizioni e i paradossi che agitano la vita degli agrigentini: in ultima analisi, pirandelliano è il destino crudele di questa terra». Che Pitrone ha raccontato nei suoi colori e umori, lungo la statale 640 che unisce Sciascia e Pirandello. Figli della stessa terra.
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