Un pensiero cattivo infilza la mente. Una gioia gratuitamente maligna, un'ombra nera. Ci si spaventa: ma perché? che ragione c'è? Avevo un cane, il formidabile Tom, per 12 anni nostro insostituibile amico. Gli ho insegnato tante parole e ho osservato ogni suo comportamento. Mai avuto la sensazione che volesse il male di qualcuno. Quel poco male che ha fatto (un colpo di denti a un rivale, l'agguato a un merlo che si era infilato in casa dal giardino) aveva sempre a che fare con l'istinto, era sempre funzionale a un bisogno primario: il cibo, il territorio, la protezione del branco (cioè noi). Dopo aver sbatacchiato a morte quel povero merlo, riempiendomi di orrore, mi aveva guardato fiero per la bella impresa e si era sdraiato per una meritata siesta sul divano. La gratuità del male è un'esclusiva umana? A quale istinto corrisponde? A che cosa è funzionale? L'altra esclusiva della nostra specie è sapere che ci toccherà morire. Probabilmente anche altre specie, soprattutto ai gradi più alti dell'evoluzione, hanno il senso di dover finire, ma solo alla nostra è stato dato uno sguardo tanto acuto. È per questo che il male ci attraversa? È una rivolta, una rappresaglia contro il nostro destino? È una piccola omeopatica anticipazione del buio e della solitudine che temiamo ci potrebbe toccare?
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: