L'immagine che sintetizza al meglio il primo vero cambio di Facebook degli ultimi cinque anni, annunciato l'altro giorno da Mark Zuckerberg, è questa: meno piazza (social), più salotto. Dopo averci spinto a condividere con chiunque ogni momento delle nostre vite e ogni nostro pensiero, ora ci propone un cambio di rotta: dal pubblico al privato; dal confronto con tanti alle "chiacchiere" con pochi.
Tutto parte da un fatto molto semplice. La galassia Facebook ha più di un problema non solo di funzionamento, ma anche e soprattutto di fiducia. E lo dimostra anche il fatto che ha accantonato oltre 5 miliardi di dollari perché si attende pesantissime multe per il mancato rispetto della privacy dei suoi utenti, a partire dal caso Cambridge Analytica. Eppure sul fronte privacy nell'annuale F8, il convegno con gli sviluppatori dove Zuckerberg annuncia le novità del suo colosso (Facebook, Instagram, Messenger, WhatsApp), si è sentito molto meno di quello che ci aspettavamo tutti. Serviva quindi un bell'annuncio che segnasse un cambio di "filosofia" social: meno pubblico, più privato; meno piazza, più salotto.
Quando sentiamo simili proclami, siamo portati a pensare che sia farina di Zuckerberg e del suo staff. Ma è vero solo in minima parte. Perché la nuova rotta dei suoi social di fatto gliel'hanno indicata gli utenti. Lui si è "ispirato" studiando ciò che milioni di persone fanno ogni giorno sulle sue piattaforme. In un certo senso, quindi, l'idea di passare dal «pubblico» al «privato» social gliela abbiamo data noi. Perché siamo noi (o almeno: una larga parte di noi) che da tempo abbiamo scelto una via più «salottiera» nell'uso di piattaforme come Facebook. Siamo noi che stiamo già premiando un certo tipo di contenuti rispetto ad altri. Siamo noi che siamo stanchi di essere inondati di notifiche da account di aziende che di fatto non ci danno quello che ci avevano promesso. Diciamocelo: siamo anche stanchi di come molti media spesso usano i social. Per questo la loro presenza su Facebook (dopo la svolta annunciata) dovrà cambiare passo. Meno link ad articoli e più dialogo (a partire dall'ascolto) con il lettore. Zuckerberg l'ha detto molto chiaramente: una delle strade social del futuro, anche dei giornali, passa dalla creazione di gruppi Facebook dedicati ai lettori o a temi concreti. E la stessa cosa vale per le aziende, le parrocchie e le diocesi presenti sui social. Non significa che l'informazione sparirà. Ma che andrà una volta di più ripensata per i social. Dovrà coinvolgere di più le persone, essere più partecipata.
Non solo. A dare vera visibilità ai contenuti informativi sui social, più che le pagine dei media, sarà la scelta dei singoli utenti di condividere certi articoli con gli amici nei propri "salotti digitali". Avremo quindi meno notizie calate dall'alto e più notizie diffuse dalle persone.
È troppo presto per poter dire con sicurezza che basterà questo a contrastare tutto il peggio dei social (l'odio, le fake news, la propaganda becera), ma è sicuro che se Zuckerberg si atterrà davvero a ciò che ha promesso, ogni singolo utente sarà ancora più responsabile di ogni sua azione. Con un rischio però: come ben sappiamo da quella che siamo soliti chiamare vita reale, ogni conversazione da salotto è mediamente meno urlata di quelle pubbliche, ma il fatto che si svolga tra poche persone non la salva dal rischio di contenere alti tassi di violenza, odio e fanatismo, capaci di inquinare cuori e cervelli. Un'altra accelerazione arriverà a breve anche sul fronte dell'e-commerce sui social. Facebook, Instagram e WhatsApp daranno sempre più spazio alle vetrine (e ai negozi) dove le aziende (media compresi) potranno offrire i loro prodotti. Miglioreranno anche le vendite tra privati, rispetto a quanto già avviene su alcuni social e sarà persino possibile pagare anche via WhatsApp.
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