Negli ultimi venti anni le esportazioni di olio di oliva italiano sono raddoppiate. Lo dicono i coltivatori diretti che pongono questo risultato (raggiunto) ad un altro (da raggiungere) e cioè il rilancio di un settore in cui la raccolta 2021 è agli inizi, che promette bene ma che deve fare i conti con una serie di questioni strutturali di non poco conto. Vendite all'estero sugli scudi, dunque. Quasi la metà di tutto l'olio italiano esportato finisce - spiega Coldiretti - nei Paesi europei, dove gli arrivi sono aumentati del 98% nell'arco del ventennio, ma è in Asia che si registra l'impennata più significativa, con le esportazioni che sono quasi triplicate (+162%). Anche se il principale mercato per l'extravergine pare essere sempre quello degli Usa che assorbono da soli quasi un terzo del totale, con un incremento del 73% in 20 anni. Grandi risultati che sono di conforto a quelli previsti per il 2021 in termini di raccolta. Le stime dei coltivatori condotte con Ismea e Unaprol, indicano un +15% rispetto allo scorso anno e una qualità ottima. Certo, anche quest'anno, come sempre, il clima ha in qualche modo dettato legge: in alcune regioni prima il gelo e poi il gran caldo hanno tagliato la produzione anche di oltre la metà. A livello generale, tuttavia, i numeri parlano chiaro: la produzione in Italia potrebbe attestarsi intorno ai 315 milioni di chili, in leggero aumento rispetto ai 273,5 milioni dell'annata scorsa, in media con le statistiche delle ultime campagne ma con un risultato inferiore alle attese. Bruttissima è stata la stagione in Lombardia, difficile quella in Puglia e in Sicilia oltre che in Calabria ma anche in Toscana e Umbria, migliore nelle altre regioni del centro Italia e del nord. La parola d'ordine, tuttavia, sembra essere “rilancio”. E in effetti solo questa può essere la strada per un comparto che rappresenta una delle punte di diamante dell'agroalimentare nazionale, ma che soffre della concorrenza di altri grandi produttori mondiali, oltre che della diminuzione strutturale della produzione ottenuta. L'olivicoltura, poi, deve confrontarsi con un tessuto produttivo fatto ancora in gran parte da piccole imprese, in territori difficili, con una scarsa coesione tra loro. È una scommessa, quella della crescita del settore, che deve essere vinta non solo per il significato economico (400mila imprese), ma anche per quello sociale e ambientale (250 milioni di piante).
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: