Il riso italiano ha nuovi strumenti di sostegno e valorizzazione. Si tratta di misure che incidono sulle relazioni commerciali, sull'informazione al consumatore, sulla tecnica. Certo, si parla del cosiddetto mercato interno, ma è indubbio che il passo compiuto dal Governo sia positivo. E atteso fra l'altro da molti anni.
L'obiettivo dichiarato dall'esecutivo con l'approvazione del decreto legislativo sul comparto è, in ogni caso, sempre il solito: semplificare e tutelare maggiormente un settore prezioso per il nostro agroalimentare. Accanto all'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima – che ha ricevuto il via libera sempre dal Governo qualche giorno fa –, adesso i risicoltori hanno a disposizione sei leve. Prima di tutto la riorganizzazione e semplificazione della normativa di mercato che risaliva al '58, poi la salvaguardia delle varietà di riso italiane, poi ancora un'accelerazione verso il miglioramento genetico di nuove varietà e la realizzazione di un registro nazionale delle denominazioni dei risi. Fanno parte del pacchetto anche la valorizzazione del prodotto attraverso la denominazione "classico" in etichetta (che nelle intenzioni del Governo dovrebbe apportare un valore aggiunto alle varietà di prodotto da risotto), oltre che le etichette più chiare e il rafforzamento dei controlli con il relativo nuovo apparato di sanzioni.
Ovvio, c'è anche tutta la questione europea. Per questo Maurizio Martina, responsabile delle Politiche Agricole, presentando la riforma del mercato interno si è affrettato a dire: «Andiamo avanti anche in Europa perché venga attivata la clausola di salvaguardia prevista dai trattati Eba in merito all'importazione di riso a dazio zero dai Paesi asiatici, una questione che penalizza fortemente i nostri risicoltori e che richiede un'azione convinta da parte dell'Ue. Serve un segnale chiaro da Bruxelles».
Intanto i produttori accolgono con favore quanto è già stato fatto. Coldiretti ha definito la riforma «un passo avanti importante» e in una nota ha aggiunto come «in un mercato che sta assistendo ad un crollo dei prezzi sotto i costi di produzione su varietà per il consumo interno come Arborio e Carnaroli per effetto degli squilibri di mercato legati alle importazioni a dazio zero, la possibilità di poter avere una diversificazione di denominazione va da un lato a vantaggio del
produttore e dall'altro del consumatore». Confagricoltura ha elogiato il «lavoro di squadra» da parte di tutti. Dietro tutto questo, un settore che è primo in Europa e che conta su 237mila ettari coltivati, 4.263 aziende di alto livello, 1,58 miliardi di chili di prodotto, oltre diecimila famiglia occupate.
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