Esrat e il sogno di donne libere
giovedì 8 settembre 2022

Esrat Karim è un concentrato di dolcezza e gentilezza. Sembra stupita che dall'Italia ci sia interesse per il suo lavoro. Eppure ad appena 29 anni è una piccola celebrità, e non solo in Bangladesh, dove vive e lavora, da quando la rivista Forbes, nel 2020, l'ha nominata tra le 30 leader globali con meno di 30 anni.

Esrat è una giovane idealista che non si limita a sognare: lei il mondo lo cambia davvero. Nel 2015, di ritorno da un master in Social Business negli Stati Uniti, ha creato a Dacca la Fondazione Amal, che vuol dire "speranza", e lo è davvero per migliaia di persone povere e svantaggiate, in particolare per le donne. Amal porta avanti programmi per contrastare i matrimoni precoci, per incoraggiare la microimprenditorialità e l'alfabetizzazione delle giovani.

In due centri di formazione professionale per l'artigianato e la sartoria, a Bogra e Teknaf la Fondazione ha insegnato a confezionare vestiti e fabbricare borsette, bracciali e altri oggetti a ben 50mila donne, molte delle quali vittime di violenza domestica, di matrimoni precoci o combinati e di estrema marginalità economica.

Esrat, collegata con Avvenire dal suo ufficio di Dacca, veste abiti colorati e ha lunghi capelli neri. Racconta che tutto quello che sta facendo è stato possibile perché la sua famiglia la supporta e la incoraggia, compreso un marito appena sposato, a differenza di quanto accade a milioni di sue coetanee in Bangladesh. Un Paese in cui il 59% dei matrimoni è precoce e l'82% delle donne sposate subisce violenza di genere. Esrat racconta di Amina, una 13enne andata in sposa contro la sua volontà. Quando l’ha incontrata, aveva lividi sul corpo, segni di percosse violente. «Ho convinto la madre a riprendersela in casa, abbiamo dato loro una macchina per cucire e chiamato un sarto per insegnare a cucire. Oggi Amina si guadagna da vivere ed è libera».

«All'inizio le donne dei villaggi più poveri che volevano venire nei nostri centri erano scoraggiate dai padri o dalle suocere. Che escano di casa non è visto di buon occhio – racconta –. Ma poi hanno imparato un mestiere, hanno iniziato a guadagnare, e questo ha cambiato le cose».

Dopo uno stop a causa della pandemia, ora i programmi stanno ripartendo. «Il Covid ha ridotto sul lastrico le famiglie già poverissime. Per tante di loro le figlie sono ridiventate un bene di sopravvivenza, così le danno in spose giovanissime, dietro pagamento di una dote. Noi offriamo ai padri l'equivalente di una dote, sotto forma di prestito. Li aiutiamo a iniziare una attività economica, facendo firmare l'impegno a non dare la figlia in sposa prima dei 18 anni. Funziona. Per ora hanno aderito 30 padri, ma pensiamo di poter arrivare a 5mila nei prossimi 5 anni».

Esrat, dove si vede tra 10 anni? «Voglio continuare a essere la voce delle ragazze svantaggiate del Bangladesh – risponde –. Voglio contribuire a creare un Paese in cui le donne siano riconosciute, rispettate e libere di vivere la vita che desiderano. Questo è lo scopo per cui lavoro».

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