Esperti religiosi e Rete: patrimonio da reinvestire
domenica 8 ottobre 2017
In sintonia con una riflessione di Vera Gheno ( tinyurl.com/ycg9jz32 ), Bruno Mastroianni ragiona sul suo blog ( tinyurl.com/y8xxrftx ) di come chi è «esperto» di un determinato argomento dovrebbe partecipare alle discussioni pubbliche che blog e social consentono. Sintetizzati in: “Io ne so più di te e non ho voglia di discuterne”, si mettono a fuoco tre atteggiamenti, mostrandone l'inopportunità ai fini del miglioramento del «livello culturale del dibattito nella nostra società interconnessa».
L'osservazione vale anche per quella parte della Rete che predilige leggere e scrivere di questioni di fede e di vita della Chiesa? Considerare, snobisticamente, i social «un contesto inadatto all'approfondimento» e sottrarsi alla «fatica di rispiegare» non mi sembrano posture molto diffuse in area ecclesiale. Provenienti da tutte le scuole teologiche, i più sono disposti a spendersi sulle tastiere con dovizia di argomenti a sostegno delle proprie asserzioni; d'altra parte, la quota di vocazione missionaria che ciascun cristiano avverte non considera un onere dover ripetere il proprio insegnamento, purché intraveda la possibilità che alla fine sia compreso. La “voglia di discutere”, dunque, non manca.
Quella che mi pare assai diffusa anche tra gli esperti religionisti è piuttosto la “rivendicazione della competenza”, ovvero: “Io ne so più di te”, fidati e non insistere con le tue “domande sceme”. Atteggiamento spesso aggravato dal chiamare a sostegno delle proprie affermazioni fonti che godono di un'autorità non discutibile, come la Scrittura e il magistero, ma con l'intento di mettere a tacere l'interlocutore e non con quello di «argomentare, spiegarsi». Peccato, perché nella tradizione della comunicazione sociale cristiana le risposte comprensibili degli “esperti” alle domande elementari hanno fatto la fortuna di tante testate. Non dovrebbe essere difficile reinvestire questo patrimonio nell'orizzontalità degli ambienti digitali.
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