Caro Avvenire, mi sento sollevata dalla vittoria di Donald Trump perché credo che significhi molto in termini di opposizione al politicamente corretto e alle élite globaliste che ostacolano il “free speech” in Occidente (alcuni professori dell'Università di Harvard hanno sospeso un giorno le lezioni per far digerire l'esito elettorale agli studenti). Una vittoria che appartiene al movimento, Maga (Make America Great Again), ovvero chi ne ha abbastanza delle politiche immigrazioniste, dell’ideologia “woke”, della lontananza dalle classi lavoratrici… A quando un Maga tricolore?
Camilla Mastroberardino
Gentile signora Mastroberardino, apprezzo la sua franchezza nel difendere la linea politica di Donald Trump. Il 47° presidente eletto degli Stati Uniti ha ottenuto una netta maggioranza, non prevista dai sondaggi proprio perché una quota di elettorato probabilmente non vuole ammettere di votare il tycoon repubblicano e poi sfrutta il segreto dell’urna per farlo. A parti invertite è quello che consigliava Julia Roberts alle donne indecise se scegliere i democratici differenziandosi dai mariti.
Certo, c’è una parte di americani (e di europei, come lei) che sostiene apertamente le idee del Maga e le ritiene una salutare inversione di tendenza rispetto a certe derive culturali e di governo. Tuttavia, quasi 70 milioni di persone che hanno espresso la preferenza per Kamala Harris non fanno parte della minoranza globalista, un po’ troppo vasta per essere élite. Le idee woke non spariranno solo perché è cambiato l’inquilino della Casa Bianca, percorreranno piuttosto la loro parabola come tutte le innovazioni radicali che hanno un fondamento, entrando in forme attenuate e più accettabili nella sensibilità condivisa.
Sono invece convinto, come lei, gentile signora Mastroberardino, che i quattro anni di Trump come Comandante in capo non saranno ininfluenti né in patria né sulla scena internazionale. Molto meno spazio al settore pubblico, sia in termini di regolazione sia di servizi per i cittadini; un approccio transazionale alla diplomazia, che privilegia gli interessi immediati dei singoli Stati; una stretta sull’immigrazione; un protezionismo economico in linea con un risorto nazionalismo e, non ultimo, l’abbandono della lotta al cambiamento climatico. Staremo tutti meglio con queste brusche virate? Lo vedremo presto.
Il mio sospetto è che qualcuno sarà contento dal punto di vista “morale” e qualcuno se ne avvantaggerà dal punto di vista “materiale”. In parecchi, d’altra parte, se ne dorranno. E tanti finiranno con l’essere più poveri ed esclusi di quanto lo siano oggi. Penso anche che all’Università di Harvard quasi nessuno abbia sostenuto il candidato repubblicano, e così in tanti altri atenei. L’anti-intellettualismo del nuovo corso è così sfacciato e bieco da giustificare persino un paio di giorni di sconforto (si considerino le prime nomine annunciate).
Eppure, si andrà avanti, speriamo senza scossoni al sistema liberal-democratico americano e a quello di altri Paesi che vorranno mettersi sulla scia della Amministrazione pronta a insediarsi il 20 gennaio. Forse dobbiamo rassegnarci a un Maga d’esportazione e a un’Europa fatta presto di maggioranze e leader sovranisti, Germania e Francia comprese.
Potrebbe essere un test per scoprire che, in un mondo pur sempre imperfetto, dividersi, alzare muri, farsi la guerra commerciale, lasciare che ognuno competa e s’arrangi nel disprezzo della cultura e di chi la pensa diversamente non è poi tanto meglio della globalizzazione. Ma c’è una possibilità che sia io troppo pessimista, e che Trump e Musk ci stupiscano per il meglio...
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