Che fine ha fatto Daniela Sànchez Curiel? E chi ha assassinato Diana Velàzquez Florencio nel 2017 e Julia Sosa Conde nel 2018? Si indaga davvero per restituire giustizia alle famiglie? È la domanda che attanaglia i giorni di Edith Olivares Ferreto, da tre mesi direttrice della sede messicana di Amnesty International, organizzazione con la quale lavora da tre anni dopo un decennio di impegno come consulente dei diritti umani, funzionaria dell'Istituto nazionale per le donne e assessora in diversi comunità locali. Oggi Edith non perde occasione – sui social, sui giornali, alle televisioni, in manifestazioni pubbliche, lanciando petizioni - per denunciare il fenomeno delle sparizioni e dei femminicidi, endemico in Messico e nonostante questo sottovalutato e trascurato dalle istituzioni del Paese centroamericano. «Lo faccio per le madri di Daniela, Diana, Julia e di migliaia di altre donne – dice ad Avvenire attraverso Skype dalla sua abitazione di Città del Messico –. Noi siamo la loro unica voce».
Edith Olivares Ferreto - Amnesty
Nei giorni scorsi Amnesty International Messico ha diffuso un report molto dettagliato in cui documenta che nessuno, tranne la famiglia, prende sul serio la morte violenta di una donna. «Abbiamo dimostrato che la scena del delitto non viene esaminata con professionalità, che le prove non vengono conservate, che la stessa categoria del femminicidio viene guardata con scetticismo da polizia e magistrati. Abbiamo calcolato che ogni investigatore segue 8mila fascicoli. Come possono le famiglie delle vittime ottenere giustizia?».
Edith però non si rassegna: domenica scorsa ha accompagnato decine di madri nel centro di Città di Messico, al Paseo de la Reforma, dove su enormi cartelloni sono stati scritti i nomi di centinaia di donne, ragazze, adolescenti, figlie e mamme assassinate o scomparse per sempre.
Le donne ricordano le vittime di femminicidio in Messico - Twitter di Edith Olivars Ferreto, 25 settembre 2021
«La nostra lotta è per la vita e non solo di chi non c'è più ma anche di chi non è ancora nata», ha detto la mamma di Lesvy Berlin Rivera Osorio, strangolata dal fidanzato a 22 anni, nel 2017. Le donne sono vittime anche di una cultura dell'impunità che regna in Messico, dove il 98% dei reati resta senza colpevoli. Tutto è iniziato negli anni Sessanta, con la guerra ai cartelli della droga. La violenza è entrata nella società, ha impregnato la vita quotidiana di tutti. «Nelle periferie urbane gli uomini usano la minaccia: so chi potrebbe scioglierti nell'acido, dicono alle donne, che vivono in uno stato permanente di insicurezza. I femminicidi sono in aumento. E quando la vittima è una donna – spiega Edith, che ha 51 anni, un figlio di 30 e un sorriso da ragazza – le autorità semplicemente accettano il fatto. Ma ogni femminicidio ha un impatto tremendo sulle famiglie delle vittime: cercano verità, giustizia e riparazione e finiscono per diventare vittime a loro volta. Per questo continuiamo a chiedere alle autorità federali messicane di dare massima priorità al contrasto alla violenza contro le donne».
Nel 2020 nei 32 Stati messicani sono state assassinate 3.723 donne, più di 10 al giorno, e 940 di queste morti sono state indagate come femminicidi. Nel report “Juicio a la Justicia” (processo alla Giustizia) Edith Olivares Ferreto, insieme al suo team, ha esaminato in particolare 4 casi di sparizione e omicidio: Nadia assassinata nel 2004; Daniela scomparsa nel 2015 e con ogni probabilità uccisa; Diana scomparsa e trovata morta nel 2017; e Julia che ha subito la stessa sorte nel 2019. «In ogni caso le indagini son state svolte in modo sbrigativo e scorretto». Una colpevole negligenza, che dimostra lo scarso peso attribuito alle donne e che alimenta la sensazione di impunità. «Il messaggio che giunge chiaro e forte agli uomini violenti è: alle donne potete fare ciò che volete». E no, è un messaggio che non si può proprio accettare.