«Tutti conoscevano già Zlatan prima di questo Festival. Allora perché Zlatan è venuto qui? È venuto perché gli piacciono le sfide, l'adrenalina. Gli piace crescere. Se non fai sfide con te stesso, non puoi crescere. Io ho giocato 940 partite, ne ho vinte tante ma non tutte. Ho vinto 11 scudetti, ma ne ho anche perso qualcuno. Ho vinto tantissime coppe, ma ne ho anche persa qualcuna. Sono Zlatan anche senza aver vinto tutte le partite. Sono Zlatan quando vinco e quando perdo. Ho fatto più di 500 gol ma ne ho anche sbagliato qualcuno. Pochi. Qualche rigore è andato male, ma il fallimento non è il contrario del successo, è una parte del successo. Non fare niente è il più grande sbaglio che puoi fare. Se sbaglia Zlatan, puoi sbagliare anche tu. La cosa importante è fare la differenza ogni giorno. Impegno, costanza, dedizione. Ho organizzato questo Festival per dirvi che ognuno di voi, nel suo piccolo (sorriso), può essere Zlatan. Voi tutti siete Zlatan e io sono tutti voi. Questo non è il mio Festival, non è il Festival di Amadeus, ma è il vostro Festival. Il Festival dell'Italia intera. Grazie Italia, la mia seconda casa».
Non avrei mai pensato di incominciare un articolo per questa rubrica pubblicando il testo di un discorso di Zlatan Ibrahimovic alla nazione, tenuto davanti a oltre 13 milioni di spettatori e uno share che ha sfiorato il 50%. D'altronde la classifica delle 50 trasmissioni più viste della storia della televisione del Paese vede ai primi 49 posti 49 partite di calcio (di cui 46 della nazionale italiana a partire dalla prima posizione, Italia-Argentina del 1990) e alla posizione n. 50, guarda un po', proprio il Festival di Sanremo, edizione 1995, capitanata da Pippo Baudo.
Insomma il mix di questi due linguaggi, sport e musica, ha potenzialità di comunicazione importanti e vale la pena di capire e prendere di buono quanto di buono c'è.
Al netto di quella, ormai un po' ritrita, manfrina da supereroe delle serate precedenti, il messaggio affidato all'ultima comparsata della stella del Milan sul palco dell'Ariston è apprezzabile. Certo, lo storytelling imponeva l'inizio del messaggio parlando di sé in terza persona, ma il finale in rimonta, dove Ibrahimovic passa all'io, ci lascia un bel messaggio. Non quello relativo al "Festival dell'Italia intera", ma quella frase che risulta essere la più felice: «Non fare niente è il più grande sbaglio che puoi fare».
Ben venga allora questo campione del calcio, che riscatta parzialmente la sua scivolata nei confronti di Le Bron James delle settimane scorse, e che ricorda a quasi un quarto del Paese in ascolto che il vero dramma, la vera sconfitta, il vero errore è star fermi, smettere di progettare, di inseguire obiettivi, di esporsi anche (e necessariamente) alla possibilità del fallimento.
Abbiamo compiuto un anno dal primo lockdown e ci sembra un tempo infinito quello passato dall'Inno di Mameli cantato sui balconi e dal mantra "andrà tutto bene".
Non è andato tutto bene, per niente. Centomila nostri connazionali non ci sono più, centinaia di migliaia di Italiani combattono contro gli effetti collaterali del virus: disastri economici, disoccupazione, scuole chiuse, problemi fisici e psicologici.
Se c'è una cosa da fare, ora, è essere proattivi. Agire, attaccare, magari sbagliare, ma «con impegno, costanza, dedizione». Lo dice anche Zlatan Ibrahimovic.
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