«Il web come lo conosciamo è a rischio». Parliamo dell'insieme dei siti Internet mondiali, da quelli con le notizie a quelli personali; da servizi come Amazon a Facebook e YouTube (via pc). A sostenerlo, mercoledì, è stato Matt Brittin di Google. Che è arrivato a ipotizzare una rivoluzione: dal web di oggi, libero e gratuito (nella maggior parte dei suoi servizi e dei suoi contenuti), a un web a pagamento e quindi, sostanzialmente non più fruibile dai più poveri.
Non è la prima volta che qualcuno ne parla. Ma, mai come oggi, appare una svolta possibile. Se per decenni, infatti, il mondo digitale (quindi ben oltre il web) ha guadagnato dalla vendita dei nostri dati e dagli annunci pubblicitari sempre più mirati sugli interessi di ognuno di noi (raccolti grazie al tracciamento di tutto ciò che facciamo online), oggi le nuove restrizioni in materia di privacy stanno mandando in crisi l'intero sistema. Un bel colpo l'ha sferrato anche Apple quando ha deciso di dare la possibilità agli utenti di iPhone e iPad di non farsi tracciare dalle app che scaricano dall'Apple Store. Quello che a prima vista sembra un favore a noi utenti, nasconde però anche altro. E cioè l'obiettivo di Apple di venderci la sua pubblicità. Non stupitevi, quindi, se a breve vedrete apparire annunci sulle applicazioni Apple preinstallate sui vostri smartphone e tablet. Secondo Mark Gurman di Bloomberg, Apple punta in questo modo a raccogliere 10 miliardi di dollari l'anno.
Abituati come siamo a usufruire ogni giorno di una valanga di contenuti gratuiti (in cambio della pubblicità o, sino a poco tempo fa, dei nostri dati) facciamo molta fatica ipotizzare un web o addirittura un'Internet per ricchi. Eppure non è un'ipotesi peregrina. Tanto più che a metà del 2024, come forse saprete, Google eliminerà completamente «i cookie di terze parti», cioè gli elementi che permettono di riconoscere un utente anche su un sito diverso da quello su cui sta navigando. Non è un semplice accorgimento tecnico: «Significa – ha affermato Brittin – reinventare la tecnologia su cui si basa gran parte del sistema pubblicitario del web e sviluppare nuove soluzioni incentrate sulla privacy». C'è però un altro punto non meno importante: sempre più creatori di contenuti non riescono più a ottenere entrate significative dalle pubblicità presenti sui loro siti e le loro app. Il che sta portando sempre più soggetti a non offrire più prodotti gratis ma a chiedere in cambio a noi lettori, ascoltatori o spettatori il pagamento di abbonamenti. Solo che anche questi sembrano non bastare più. Al punto che anche grandi piattaforme video a pagamento come Netflix hanno deciso di aprire alla pubblicità. Col risultato che sempre più spesso i contenuti di valore saranno appannaggio di chi potrà pagarli. E la Rete piano piano si dividerà in due: quella con servizi a pagamento e quindi di fatto per i ricchi e quella gratuita ma sempre più inzeppata di pubblicità per tutti gli altri. Un problema non da poco. In America conoscono bene l'importanza degli affari, ma hanno deciso di proteggere almeno in parte la gratuità dell'informazione: i media che ricevono sovvenzioni statali sottoscrivono un contratto che li vincola a fornire un gran numero di servizi gratis ai lettori.
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