Che la formazione del governo Draghi, nello scorso febbraio, avrebbe avuto effetti incisivi sul sistema dei partiti, era una previsione facile. Del resto il nuovo esecutivo nasceva proprio per superare l'impasse in cui si ritrovavano le forze politiche in una fase di eccezionale gravità per la vita del Paese. L'impatto però è stato persino superiore alle aspettative. Certo, in questi cinque mesi i partiti hanno assicurato al governo, in un modo o nell'altro, il sostegno necessario. Ma spesso si è avuta l'impressione che lo abbiano fatto solo perché costretti dalle circostanze o in funzione di un limitato tornaconto di consenso. Sicuramente non sembrano aver colto la formidabile opportunità che veniva loro offerta dalla "copertura" di un governo senza formula politica per cercare di avviare percorsi di rigenerazione. I partiti, insomma, sia pure in misura diversa tra loro, appaiono disorientati e in affanno oppure totalmente immersi in schermaglie tattiche.
In tutta evidenza il caso più eclatante è quello del M5S. Non è dato ancora sapere quale sarà l'approdo finale del convulso processo in atto, che ripropone il dilemma costitutivo di tutti i "partiti personali". Ma in un'ottica di sistema è da registrare come l'ambizioso tentativo di superare la stessa forma-partito e di rivoluzionare le modalità di partecipazione dei cittadini, non sia riuscito a superare indenne la prova del confronto con le istituzioni della democrazia rappresentativa. È un esito che non può lasciare indifferenti quale che sia il giudizio politico specifico sul M5s e sul suo gruppo dirigente, perché l'esperienza pentastellata ha raccolto il consenso di milioni di elettori e, in un groviglio di pulsioni contrastanti, ha saputo interpretare anche genuine aspirazioni di cambiamento.
In termini di sistema, la sorte dei Cinquestelle è fortemente rilevante per almeno altri due motivi. In Parlamento si tratta ancora del gruppo di maggioranza relativa, quindi del più numeroso soggetto della maxi-coalizione che sostiene il governo. Sul piano elettorale, il suo destino si intreccia con la plausibilità anche soltanto numerica di costruire un'alleanza in grado di competere con il centrodestra. Non a caso è su questo punto che è entrato in fibrillazione il Pd. Il più strutturato dei partiti ha reagito nel modo più fisiologico – cambiando il segretario – ma il problema della strategia politica appare tuttora irrisolto e non poco dipenderà dal risultato delle prossime amministrative.
Sul versante del centrodestra la situazione appare formalmente stabilizzata dalla consapevolezza che, secondo i sondaggi, l'alleanza tripartita può contare al momento su una maggioranza elettorale robusta. A livello politico spicca ovviamente la competizione per la leadership tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che guida l'unico tra i partiti principali a non appoggiare il governo Draghi e costringe il suo competitore a continue oscillazioni per non essere scavalcato a destra. Ma per quando riguarda le forme della rappresentanza il profilo che più interessa è quello della proposta berlusconiana di un partito unico del centro-destra in cui far confluire il capitale residuo di Forza Italia. Ennesima dimostrazione di come per i "partiti personali" sia estremamente problematico – se non impossibile – avere un futuro autonomo che vada oltre la vicenda umana e politica del loro fondatore.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: