Improvvisamente, che cosa mi succede? i giornali mi commuovono. Mi sembrano straordinariamente preziosi, mi confortano, ne ho nostalgia, una nostalgia storica, nel momento stesso in cui li apro, li sfoglio e li leggo. Nostalgia storica: perché i giornali sono in pericolo, non per il loro contenuto, ma in quanto veicolo cartaceo della comunicazione scritta, in quanto parenti più effimeri e militanti dei libri. Leggo per l'ennesima volta che da noi il consumo dei media di massa è in aumento: ma si tratta di Internet, di social network, di radio e di tv. Tutto ciò che viene stampato su carta, invece, è lentamente ma inesorabilmente abbandonato. L'ultimo rapporto Censis sul consumo di comunicazione informa che la lettura tradizionale è in declino, a vantaggio dei media digitali. Nel 2007 il 67% degli italiani compravano almeno un quotidiano alla settimana. Dopo un anno siamo scesi al 54,8%. Il dato che avevamo già osservato senza consultare nessuna statistica, è che tra i laureati e i giovani il disinteresse per i quotidiani è cresciuto. Ma conosco anche intellettuali, uno scrittore, un critico, un filosofo (molto noti: non faccio nomi) che non leggono i giornali. Dunque, quello che faccio quando li leggo, ci scrivo e ci rifletto, è un'attività in estinzione. Un sintomo di nostalgia per i giornali lo noto quando vedo che il Corriere della sera ha ricominciato a pubblicare il settimanale illustrato Sette, che nacque 22 anni fa, in un formato, grafica e carta in stile «c'era una volta». I giornali cominciano a sentire se stessi come un'elegante e nobile retroguardia della comunicazione di massa. Hanno nostalgia della loro storia. Invece di guardare avanti rincorrendo i nuovi media, guardano indietro. Forse non è un caso se a pagina 140 del nuovo Sette viene battezzato «libro più bello dell'anno» l'ultimo Meridiano sul Giornalismo italiano a cura di Franco Contorbia. Come dire: scrivendo sui giornali si può anche diventare dei classici.
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