Non c'è alcun dubbio che, come sottolineato il giorno della presentazione dal cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, la Costituzione apostolica Episcopalis communio di papa Francesco segna «una vera e propria “rifondazione” dell'organismo sinodale». Non, insomma, una semplice “correzione di rotta” a poco più di cinquant'anni dalla sua istituzione, ma piuttosto una profonda ridefinizione del senso e del carattere per sempre più esaltare la caratteristica fondativa della Chiesa, che è la missionarietà. Per il porporato, infatti, «il fattore di maggiore novità della nuova Costituzione apostolica... è l'inquadramento stabile del Sinodo entro la cornice di una Chiesa costitutivamente sinodale», in quanto il documento «non si limita a richiamare la dottrina sulla collegialità episcopale, ma va oltre illustrando il ministero dei Vescovi come servizio al Popolo di Dio nella pluralità di ministeri e carismi». Il che implicherà, tra l'altro, oltre al maggior “peso” – anche magisteriale – assegnato all'assemblea, una più sistematica consultazione e un più stretto coinvolgimento del popolo di Dio in ogni fase sinodale, dalla preparazione in avanti.
Detto questo, tuttavia, non si può non rilevare che la Costituzione apostolica di papa Francesco rappresenta in qualche modo il punto di arrivo di un dinamismo che ha caratterizzato negli ultimi decenni il cammino dei Sinodi. Se infatti, confrontando il testo del documento varato l'altro giorno con quello istitutivo del 1965 firmato da Paolo VI, la distanza tra i due può a prima vista apparire abissale, questa impressione si attenua se, appunto, si ricorda come a poco a poco, un passo dopo l'altro (a volte piccoli, a volte un po' più grandi) il Sinodo si sia andato trasformando nel corso degli anni. Con le prime “aperture” volute da Giovanni Paolo II, che hanno visto per esempio progressivamente aumentare sia il numero dei laici presenti alle diverse assemblee sinodali e il loro ruolo all'interno di esse, sia le rappresentanze ecumeniche, sia le presenze femminili, tanto laiche che religiose. O anche, per fare solo un altro esempio, con la decisione di Benedetto XVI di disporre la pubblicazione integrale delle proposte finali di ogni Sinodo (che prima invece erano consegnate “sotto segreto” al Papa perché le potesse utilizzare a sua discrezione nella esortazione apostolica conclusiva dei lavori assembleari), che mentre toglieva terreno di coltura a ogni tipo di speculazione fondata su indiscrezioni – vere o presunte che fossero – circa quelle stesse proposte, attribuiva una dignità propria e compiuta al lavoro svolto dai Padri sinodali, esaltando in questo modo il valore della collegialità che il Concilio, attraverso l'istituzione del Sinodo, aveva voluto porre in primo piano. Passi, si diceva, che poco a poco hanno contribuito a far evolvere, assemblea dopo assemblea, l'impostazione originaria che, inevitabilmente, non poteva non rispecchiare la struttura piramidale di una Chiesa che per mille anni aveva consolidato il clericalismo a scapito del concetto stesso di «popolo di Dio».
Ora, con la nuova Costituzione Apostolica di papa Francesco questo cammino di rinnovamento può dirsi concluso. Ed è per questo alla fine che il segretario generale del Sinodo ha parlato di «“rifondazione” dell'organismo sinodale, non una distruzione del passato, assolutamente». Sempre, e solamente, nel segno del Concilio.
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