Leggendo una recensione di Alberto Asor Rosa al libro di Guglielmo Gorni su Dante (Il sogno di Dante, visionario fallito, La Repubblica, 16 aprile), prendo atto che Asor Rosa comincia forse a rendersi conto, in età avanzata, che l'autore della Commedia non è da sottovalutare, non c'è bisogno di contrapporgli per polemica la sublime eleganza di Petrarca né l'amoralismo di Boccaccio, e che ritenere Dante il più grande scrittore italiano non significa che ha sempre ragione quel moralista e patriota di De Sanctis, che Asor Rosa per tuta la vita ha cercato invano (anacronisticamente) di "superare". Dante è da più di due secoli il poeta europeo più imprescindibile, riletto dalla critica romantica (che in Italia culmina con De Sanctis) nonché studiato e amato, nel Novecento da Eliot, Auerbach, Contini, Montale, Mandel'"tam, Auden e innumerevoli altri. Il petrarchismo ha prodotto la lirica pura, il dantismo ha incoraggiato la mescolanza degli stili, la poesia di pensiero realistica e teologica.
La seconda cosa di cui prendo atto è che Asor Rosa continua a capire poco di Dante. Tanto è vero che in quell'articolo finisce per abbracciare Dante come un proprio simile. Essendo Asor Rosa un marxista fallito che sa di esserlo, ecco che trova fraterno Dante in quanto "visionario fallito". Dante avrebbe inventato inferno, purgatorio e paradiso perché la mediocrità dei tempi gli avrebbe fatto «scoprire che non c'è accordo possibile fra ciò che si desidera e ciò che accade». Tutto qui? Bella scoperta. Ci voleva Dante, ci voleva una vita per capirlo? Certo è che per Dante e per il Medioevo l'aldilà non era un'invenzione, era una realtà: qualunque commentatore della Commedia lo sa bene. E comunque al marxista fallito Asor Rosa non si aprono vie d'uscita. Non vedrà il paradiso, né l'inferno, forse. Anche se per i professori ossessionati dal potere come lui, andrebbe inventato, direbbe Kierkegaard, un piccolo inferno apposito: l'inferno di chi vuole comandare e non ci riesce.
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