Per capire quanto ancora sia attuale e complicata la questione delle fake news diffuse sui social, bastano due notizie di questi giorni che riguardano Twitter.
Partiamo da quella meno negativa. Dopo avere lanciato a gennaio una versione test, ha iniziato a distribuire ad alcuni utenti un suo nuovo servizio denominato Birdwatch «per contrastare la disinformazione». In pratica, si tratta di una rete di utenti selezionati che ha il compito di aggiungere note esplicative ai tweet ritenuti fuorvianti. Il funzionamento non è così semplice, però. Perché possa apparire una puntualizzazione di Birdwatch sotto un tweet ritenuto fuorviante, infatti non basterà il contributo di uno dei certificatori ma servirà il lavoro di più incaricati. E non è finita. «Una volta che al tweet contestato saranno aggiunte le note di Birdwatch, gli utenti avranno l'opportunità di valutare se il servizio è stato utile o meno. Se nessuno dei contenuti di puntualizzazione sarà ritenuto utile dagli utenti, la correzione di Birdwatch scomparirà. Di contro, se saranno ritenute utili, «le note di puntualizzazione appariranno direttamente all'interno del tweet contestato».
Come ha ben spiegato Tech Crunch, «Twitter mira così a decentralizzare il più possibile lo sforzo di verifica, mettendo il potere nelle mani dei certificatori di Birdwatch e al tempo stesso sottoponendo il lavoro dei verificatori al giudizio del pubblico». Non è difficile prevedere un discreto pasticcio. Tra veri e finti utenti, che mireranno a screditare il lavoro del servizio Birdwatch per liberare i loro tweet dalle puntualizzazioni e dimostrare che i certificatori sono di parte (anche quando non lo saranno).
La seconda notizia che riguarda Twitter è completamente negativa. Arriva da uno studio di Mohsen Mosleh, Cameron Martel, Dean Eckles e David Rand che è partito da una domanda molto pratica. E cioè: quando un utente (in questo caso di Twitter) riceve una correzione pubblica a una fake news che ha pubblicato o anche solo condiviso, starà più attento nei suoi tweet successivi? Per scoprirlo i ricercatori hanno creato una flotta di profili con i quali hanno pubblicato 1.500 correzioni ad alcuni tweet con informazioni false.
I risultati dello studio non sono per nulla incoraggianti. «Gli utenti di Twitter che hanno ricevuto una risposta che smentiva un'affermazione fatta in uno dei loro post, nelle 24 ore successive hanno pubblicato più contenuti da fonti poco affidabili». Per essere ancora più chiari: chi aveva pubblicato notizie false non solo non si è vergognato minimamente di averlo fatto, ma l'essere stato ripreso pubblicamente l'ha incattivito al punto di aumentare la pubblicazione di contenuti falsi invece che frenarlo.
Il che ci porta a uno dei (nuovi) punti nodali del problema legato alle cosiddette fake news. Non possiamo più limitarci a cercare di combatterle con i fatti e con il dialogo, perché più ne sappiamo su chi le spaccia anche non per lavoro (le centrali di disinformazione) ma "solo" per adesione emotiva ed intellettuale non ha alcuna disponibilità a mettersi in discussione. Nemmeno davanti ai fatti. Per cui la vera domanda che resta è: come si corregge qualcuno che non ha alcuna voglia non solo di mettersi in discussione ma nemmeno di ascoltare?
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