È morta pochi giorni fa a Napoli, appena sessantenne, Daniela Lepore, insegnante di Tecnica e pianificazione urbanistica nella locale università. L'hanno ricordata in tantissimi, due giorni fa alla facoltà di Architettura: colleghi, allievi e amici di molte battaglie civili in una città che l'ha vista attivissima in anni difficili, ma che sono stati anche entusiasmanti per la quantità di cose che la città riusciva a esprimere sul piano culturale come su quello sociale. Gli anni dai settanta ai novanta sono stati per Napoli di una vitalità formidabile, senza paragoni sul piano nazionale, e nelle arti come nei movimenti; sarebbe ora che qualche storico li ripercorresse perché se ne possa magari imparare qualcosa di utile a uscire dalla presente abulia e dalle frantumazioni narcisistiche. Molti anni fa invitammo a Napoli, dove allora abitavo, un grande urbanista inglese, Colin Ward (La città dei ricchi e la città dei poveri, e/o 1998; il bellissimo I bambini e la città, L'ancora del Mediterraneo 2000; L'anarchia. Un approccio essenziale, e altri saggi usciti per Eleuthera, fedele editrice delle sue opere). Fu molo bello assistere all'incontro tra Daniela Lepore e il suo collega Francesco Ceci con Colin, una sintonia che nasceva dalla comune convinzione, più volte teorizzata e insistita da Colin, che i pensatori più utili, non solo tra gli anarchici, sono stati quelli che hanno insistito su due campi di intervento insieme teorici e pratici: l'urbanistica e la pedagogia, la città e la scuola, intendendo per scuola la formazione delle nuove generazioni, la trasmissione di un sapere fatto anche di modelli di socialità, di solidarietà, dei modi di fare comunità. Daniela Lepore questo sapeva fare. Con lei si è parlato spesso di come funzionano oggi le città, dei poteri che le controllano e così spesso le bloccano. Per esempio, Napoli, ma vale anche per qualsiasi altra città. Il potere reale vi è in mano di consorterie che spesso hanno il nome di massonerie o anche di mafie. A Napoli, insistevo a dire, ed è un paradosso molto relativo, che chi davvero comanda è l'università, sono i professori (o boss) di urbanistica, di medicina, di legge, e con loro quelli di economia. È dai loro rapporti, interessi e legami che nascono le scelte che determinano quelle della politica, oggi meno autonome che mai. Daniela era d'accordo, diciamo, all'ottanta per cento, ma sapeva bene che a Napoli (contrariamente che a Palermo) la malavita conta infinitamente meno che quei legami, o ne è una derivazione secondaria... Ma su questo, chi investiga, chi scrive, chi denuncia? Uno dei ricordi più belli di Daniela l'ha scritto Antonio Bassolino, un politico che non seppe trovare, per il modello di politica in cui era cresciuto, la strada giusta per combattere le consorterie, i poteri, ma che, e questo gli va riconosciuto, almeno ci ha provato.
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