Non ha quasi lasciato tracce nell'informazione ecclesiale digitale la notizia che un'attivista delle Femen, il giorno di Natale, disabbigliata secondo lo stile caratteristico del movimento cui appartiene, ha tentato di prendere dal presepe di Piazza San Pietro la statua di Gesù Bambino mentre gridava “Dio è donna”. Se il mio robot non mente, ne ha dato cenno a posteriori, entro un severo commento sulla “foga cristianofobica” contro i presepi in tutto il mondo, solo il sito di Corrispondenza Romana ( tinyurl.com/y79n8wox ). In effetti, il gesto è stato l'esatta replica di quello compiuto lo stesso giorno, nello stesso luogo, con le stesse modalità, dallo stesso gruppo, nel 2014. Tanto esatta che, facendo una ricerca in Rete, si potrebbero facilmente confondere le notizie di allora, più numerose, con quelle di oggi. Salvo che la Femen di tre anni fa era bionda e si chiamava Iana Aleksandrovna Azhdanova, mentre quella di oggi è bruna e si chiama Alisa Viniogradova.
È questo, probabilmente, il principale motivo per cui, sebbene il sito delle Femen sia prodigo di rivendicazioni del gesto e di esortazioni a imitarlo ( tinyurl.com/yczrjuuv ), anche le fonti generaliste vi hanno dedicato poco spazio. In quasi tutte è uno spazio video: se non fossero visibili, queste azioni non esisterebbero. Qui appaiono la donna che si getta nel presepe, le forze dell'ordine che, in numero sovrabbondante, cercano di bloccarla, lei che reagisce, mentre il povero Gesù Bambino perde l'aureola e rimane in disordine e un paio di angioletti diventano tremebondi. Immagini che mettono a disagio, da qualunque punto di vista le si guardi. Eccone uno, che prescinde dall'inutile dissacrazione: la colluttazione di una donna poco vestita con molti uomini in divisa evoca tragedie di guerra troppo grandi per essere così strumentalizzate.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: