Spesso sono gli artisti che non appartengono al perimetro ecclesiale a esser capaci di tratteggiare la figura di Gesù Cristo con colori vividi, riuscendo a rinnovare il racconto della sua vicenda con elementi innovativi.
Qualcosa del genere accade dalla penna di Miroslav Krleža, intellettuale croato-jugoslavo, comunista eterodosso, autore di un romanzo – Il ritorno di Filip Latinovicz (Zandonai) – che Jean-Paul Sartre definì «romanzo esistenzialista ante litteram». Ebbene, a un certo punto Krleža fa parlare il suo protagonista Filip Latinovicz, pittore nella Croazia post-asburgica, proprio sulla sua ricerca iconografica di un nuovo Cristo. E in questa ricerca sentiamo il volto inedito di un cristianesimo eloquente: «Cristo non era affatto l'ermafrodita preraffaellita che sognano le vecchie zitelle in ginocchio sui banchi della chiesa, e ormai sarebbe ora di mettere sulla tela il vero Cristo. [...] Proprio lo scontro fra la nostra condizione pagana, pannonica e quest'Uomo pallido che hanno appeso come un ladro e che come Uomo appeso è rimasto un simbolo contemporaneo fino al giorno d'oggi, il consapevole odio di quest'Uomo superiore che dalla sua croce ha compreso che il fango sotto i nostri piedi si può dominare solo negli scontri granitici – questo bisognerebbe dipingere una buona volta!».
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