Gesù Bambino giace in una scatola aperta di Amazon. Giuseppe pensa: «Questo non l'ho ordinato» e Maria si chiede: «Possiamo cambiarlo?». Titolo: «La festa a domicilio»; sottotitolo: «Come il commercio online rivoluziona le nostre vite»; titolo del lungo articolo interno: «Il cliente come Dio». La prima parola che leggo nella blogosfera ecclesiale a proposito dell'ultima copertina di "Der Spiegel", che ho appena descritto, è di Marco Tosatti, sul suo blog "Stilum curiae" (tinyurl.com/ya7mdz5s), ed è una parola severa: «Una vignetta blasfema sul Natale». Chi, tra gli autori dei commenti, rimane al tema, non gli è da meno. L'ipotesi di blasfemia è evocata anche nei paralleli resoconti dedicati all'iniziativa del settimanale tedesco dai quotidiani italiani online. Lilli Genco preferisce lanciare nelle acque vivaci del suo profilo Facebook un sasso, accompagnando l'immagine con una domanda: «Volgare trovata pubblicitaria o graffiante provocazione?». Tra gli articolati pareri che raccoglie, a un certo punto posta anche il suo, che mi intriga: «Sicuramente [una trovata] furba, ma può essere anche una graffiante lettura del natale consumista, in cui abbiamo ridotto anche Gesù a un regalo da comprare in maniera compulsiva online, piuttosto che un dono per l'umanità».
Bisognerà leggere, in tedesco, l'intero articolo. Ma in effetti, la ferita portata al mio sentimento religioso dall'utilizzo disinvolto di una Natività così secolarizzata sarebbe di molto lenita se l'inchiesta contenesse una critica, condivisibile dal punto di vista cristiano, a un fenomeno sociale di cui tutti sperimentiamo, per ora, i vantaggi. Se cioè "Der Spiegel" mostrasse che il commercio online rafforza ancora di più l'idolatria verso i beni di consumo dando al consumatore, attraverso i mezzi digitali, la sensazione dell'onnipotenza sui prodotti, pronti a materializzarsi a ogni nostro clic. Se no, dovremo concludere, appunto, che era solo una volgare trovata pubblicitaria.
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