Pochi giorni fa, in una Camera deserta, è iniziata la discussione sulla legge sul fine vita, che intende assicurare a ciascuno il diritto “a morire dignitosamente”. Sarebbero tante le cose da dire in proposito, e tante ne sono già state scritte su queste pagine di Avvenire. Qui diciamo solamente che, forse, bisognerebbe prima fare in modo che venisse rispettato il sacrosanto diritto di ogni persona “a vivere dignitosamente”. Ma questo probabilmente è molto più difficile da fare. Perché è meglio andare sul sicuro: assicurare il primo di questi due diritti è a costo zero, mentre il secondo no. Anzi, costerebbe tantissimo. Solo per restare nel campo del fine vita, parliamo di un paio di miliardi di euro da destinare, ogni anno, per sanità, assistenza, ricerca... Ma, appunto, non si tratta solo del fine vita. Si parla, qui, dei diritti umani fondamentali, e il conto aumenta. Si parla, più precisamente, come ha ricordato Papa Francesco durante la visita al Campo di Mytilene, sull'isola di Lesbo, del fatto che «il rispetto delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di promuoverli nel mondo, dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto».
Sappiamo che non è così. Anzi, tutti siamo consapevoli che, se questo è l'obiettivo, ne siamo distanti anni luce. Perché «soprusi, violenze, negligenze, omissioni non fanno altro che aumentare la cultura dello scarto. E chi non ha tutele verrà sempre messo ai margini». Quel che serve, allora, ha detto Bergoglio riprendendo, la scorsa settimana, il tema dei diritti umani parlando ai giuristi cattolici, è un'inversione di rotta per favorire «la presa di coscienza e il senso di responsabilità. Perché anche gli ultimi, gli indifesi, i soggetti deboli hanno diritti che vanno rispettati e non calpestati». La verità è che viviamo «all'interno di un sistema economico e sociale che finge di includere le diversità ma che di fatto esclude sistematicamente chi non ha voce. I diritti dei lavoratori, dei migranti, dei malati, dei bambini non nati, delle persone in fin di vita e dei più poveri sono sempre più spesso trascurati e negati in questa cultura dello scarto. Chi non ha capacità di spendere e di consumare sembra non valere nulla. Ma negare i diritti fondamentali, negare il diritto a una vita dignitosa, a cure fisiche, psicologiche e spirituali, a un salario giusto significa negare la dignità umana. Lo stiamo vedendo: quanti braccianti sono “usati” per la raccolta dei frutti o delle verdure, e poi pagati miserabilmente e cacciati via, senza alcuna protezione sociale».
Non serve allargare le braccia e scuotere la testa e dire: “È proprio vero!”. Bisognerebbe che ciascuno si impegnasse
per cambiare questa realtà, che non è ineluttabile, non deve esserlo. Perché «riconoscere in linea di principio e garantire in concreto i diritti, tutelando i più deboli, è ciò che ci rende essere umani. Altrimenti ci lasciamo dominare dalla legge del più forte e diamo campo libero alla sopraffazione». E perché, ha insistito Francesco, «il riconoscimento dei diritti delle persone più deboli non deriva da una concessione governativa». Il Papa ha concluso citando una frase
che il cardinale Dionigi Tettamanzi ripeteva spesso, che «i diritti dei deboli non sono diritti deboli».
Rendere forti i diritti dei deboli dipende, semplicemente, da ciascuno di noi.
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