domenica 9 aprile 2017
«Desiderio», la parola più bella di tutte perché racconta come nessun'altra il nostro essere umani, diversi dagli altri animali intrappolati nel bisogno: lontani dalle stelle (de-sidera) e sempre protesi a raggiungerle, o forse a ritrovarle, come se ci fosse stato un tempo in cui ogni distanza era annullata. E senza riuscirci mai, per poi ricominciare a cercare.
Un movimento, quello da noi alle stelle, da cui può passare il meglio della nostra vita, contemplando il vuoto di una mancanza radicale che non potrà mai essere riempita.
Quello che ci manca, forse, è quel corpo della madre con cui siamo stati impastati, nessuna distanza tra noi e lei, il due indistinguibile dall'uno? Sono questo, le stelle?
Il desiderio ha bisogno di uno spazio illimitato, di uno slancio capace di saltare via le profferte seducenti che cercano di intercettare il suo movimento per assiderarlo e trarne profitto: in buona sostanza, compra, possiedi, consuma, riempi la mancanza di cose.
Ma per avvicinarsi alla propria realizzazione il desiderio deve essere anche sapersi limitare e saper considerare (cum-sidera: stare con le stelle, apprenderne la lezione). E che cosa c'è da considerare, se non l'altro, e il niente che siamo da soli?
Qual è l'oggetto del desiderio, se non la relazione piena con l'altro, che ci riempie e ci contiene?
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