Della guerra i dittatori ci fanno vedere solo il prima
domenica 12 maggio 2024
Giovedì la Piazza Rossa, come ogni anno nel Giorno della Vittoria contro il nazismo, era gremita di plotoni di soldati in parata davanti a Putin. C’è ogni, 9 maggio, la formidabile sfilata della piazza Rossa, con carri armati e sinistri missili pronti al lancio con le loro testate nucleari - quando al Cremlino si decida che è l’ora. Quest’anno sfilavano in 9.000, e già quella spianata interminabile era colma di truppe, ordinate in geometrie perfette. Allora mi è venuto in mente che, secondo lo Stato Maggiore delle Forze Armate di Kiev, a metà aprile scorso la Russia aveva perso, dal febbraio 2022, 451.730 soldati in Ucraina (cifra senz’altro esagerata per motivi di propaganda). Se i novemila che marciano a passo marziale sembrano già un’infinità, pensate quale moltitudine sarebbero i 451mila giovani russi caduti, se giovedì fosse stato possibile vedere loro, invece, nella Piazza Rossa. Ma, non ci sarebbero stati: troppi. Troppi i morti in trincee sepolte nella neve, gli ammazzati dai missili o dai droni, i bruciati negli incendi, i finiti dagli stenti. Per non dire, poi, dei marinai sulle navi da guerra bombardate dagli ucraini e colate a picco a Odessa, di cui spesso abbiamo letto la lunghezza, la stazza e la potenza di fuoco, ma raramente il numero dei soldati rimasti uccisi. Mi sono chiesta se riescono a salvarsi, e in quanti; mi sono chiesta anche se i diciottenni precettati nelle profondità della Siberia e arruolati in Marina sapevano nuotare. O se, su un ponte in fiamme, non si sono trovati a scegliere fra il fuoco, e il mare; come quei nostri Alpini del battaglione Gemona che nel 1942, silurato il “Galilea” nelle acque della Grecia, si gettarono in acqua coprendosi con la mantella il volto, per non vedere. Erano quasi mille alpini di vent’anni. Se in Piazza Rossa, assurdamente, avesse potuto entrare quell’esercito di morti, insepolti, cancellati, i corpi nemmeno restituiti alle famiglie, invece dello sciocco orgoglio marziale degli uomini, avremmo visto il lavoro atroce della guerra, compiuto: e la folla sulle tribune con i bambini in spalla avrebbe smesso, raggelata, di applaudire. Ci fanno sempre, i padroni del mondo, vedere truppe tirate a lustro ed elmi luccicanti, e carri armati frementi di potenza, e massicci cannoni avidi di proiettili nella bocca nera. Ci fanno vedere sempre il prima, e mai il dopo. Se almeno un film mostrasse le fosse comuni, e gli ospedali da campo assediati di feriti
sanguinanti, e gli uomini nelle trincee, tremanti di paura e di freddo; se potessimo vedere gli occhi dei soldati, in quelle interminabili notti, occhi di ragazzi comandati a uccidere e morire. Se addirittura sapessimo a che cosa pensano, quando capiscono che a sera saranno morti: alla ragazza, o ai figli, alla madre? A remote fattorie in cui erano cresciuti, poveri ma in pace. Ai giorni sui banchi, alle feste di Natale, al cielo terso di notte e pieno di stelle. Tutto un sogno, giacché dovevano morire a vent’anni, come nullità, come vite da niente. Ma le trombe e le marce gonfiano l’aria della Piazza Rossa, e le medaglie dei generali sfavillano. No, non c’è posto per i caduti, alla Festa del 9 maggio. Li chiamano “eroi”, ma sono solo poveri morti. Li piangono in silenzio, in troppe case del Paese, le madri. Né bandiere né trombe: delle tronfie apparenze della guerra resta solo pianto, e un incenerito silenzio - dopo. © riproduzione riservata
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