La solitudine del campione e del tifoso. Il tifo (calcistico) è una malattia, forse incurabile. Ma è da come si fa il tifo che si giudica un vero tifoso, che può essere follemente innamorato della sua squadra del cuore, quindi sportivamente pacifista, oppure un invasato di Quelli che… Enzo Jannacci già denunciava con il fraterno Beppe Viola negli anni ’70: «Quelli che quando perde l'Inter o il Milan dicono che in fondo è una partita di calcio e poi vanno a casa e picchiano i figli, oh yes!». Un tifoso davvero unico, anche perché il solo presente alla trasferta di Benevento della sua squadra del cuore, il Südtirol, è sicuramente Damian Gruber. Ha compiuto una traversata in solitaria, Bolzano-Benevento: 1700 km andata e ritorno, in auto fino a Bergamo, poi volo per Napoli e noleggio di un’altra auto per arrivare allo stadio Vigorito e gridare «forza Südtirol». Damian Gruber è davvero un piccolo eroe esemplare delle Curve nazionali, specie in un tempo in cui il tifoso è vittima sacrificale della paytv. Il suo è un piccolo atto di ribellione, Damian non si adegua alla teledipendenza, vuole ancora vivere lo spettacolo del calcio, con tutte le emozioni che comporta la trasferta, esclusivamente dal vivo. Capitan Masiello a fine gara (il Südtirol ha vinto 2-0) a questo fedelissimo che non si perde una partita del dalla stagione 2009-2010, ha donato la sua maglia e i tifosi sanniti l’hanno omaggiato con uno striscione d’encomio: «Onore a chi macina chilometri». Damian meriterebbe una medaglia anche dalla Figc e dalla Lega di Serie B, come simbolo di civilissima passione, mentre candidiamo d’ufficio per il Cavalierato del lavoro il datore del ragionier Gruber. Il supertifoso bolzanino non manca una partita perché
lavora per un imprenditore generoso al quale dice: «Voglio dire grazie al mio capo che mi dà sempre i permessi per seguire il Südtirol tutta Italia». Questi avvistamenti di tifosi, davvero isolati, sono sempre più rari, mentre è settimanale la presenza di imbecilli in Curva che lanciano petardi al settore occupato dalle famiglie con bambini. E’ accaduto venerdì sera, lancio assassino degli ultrà della Lazio in trasferta a Napoli allo stadio Diego Armando Maradona. Intitolazione per il più grande calciatore di sempre (ci scusino i messiani e i ronaldiani, brasiliani e portoghesi) che è anche uno dei due angeli sopra il cielo di Belgrado. Quello che scruta da sempre il cineasta e rockman serbo Emir Kusturica, grande tifoso del calcio, che in cima al suo monte degli idoli mette lo scrittore austriaco Peter Handke, Nobel per la letteratura nel 2019 a cui ha appena dedicato il romanzo L’angelo ribelle (La Nave di Teseo) e la grande anima di Maradona, che ha omaggiato con un docufilm capolavoro nel 2008. A Luca Mastratonio di Sette, Kusturica ha confessato con profondo affetto: «Con me Diego parlava della sua vita al passato, pieno di nostalgia, come un poeta, uno scrittore. Penso alla sua morte, è morto da solo, lui che riempiva gli stadi di centomila persone, amato da milioni di fan…».
La solitudine del campione.
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