Contrariamente a quanto pensavano in molti, il vino italiano non è più in crisi. O forse no, lo è ancora ma la sta superando, con difficoltà però. Fatto sta che le indicazioni che arrivano dal mercato - e dalle varie fonti di informazione economica - appaiono contrastanti. Tutto mentre i produttori sono in cerca di soluzioni nuove per battere la concorrenza. Intanto, parlano i dati. Che possono apparire parzialmente contrastanti. Da una parte, l'Ismea, per gli ultimi cinque anni, ha indicato una diminuzione dei consumi in quantità e un aumento in valore (vedere Pianeta Verde del 1 aprile). Dall'altra, il responsabile delle Politiche Agricole, Gianni Alemanno, aprendo l'edizione 2005 del Vinitaly - la più importante manifestazione vitivinicola europea - ha parlato di un 2004 in crescita nei consumi (+1%) e nelle esportazioni (circa +6%). È così che la bilancia commerciale si è chiusa con un attivo di circa 2.600 milioni di euro. Specialmente in virtù dei vini bianchi. Si tratta di un cambiamento di rotta? Davvero, finalmente, la filiera del vino ha ingranato la marcia giusta?
Sarebbe una rara notizia positiva per un comparto che, tutto sommato, vale moltissimo al di là della crisi. Stando alle stime di Winenews, infatti, il vino italiano conta direttamente 8mila milioni di euro di giro d'affari che diventano 50 miliardi con gli impianti e il valore delle strutture di produzione. Non solo, ma al settore fanno in qualche modo riferimento 1,2 milioni di lavoratori, 800mila aziende agricole e 300mila di imbottigliamento. Tutto senza contare il fatto che questo prodotto anima attività varie come la pubblicità (con investimenti che arrivano al 3% circa del fatturato ma anche al 10 in alcuni casi) e l'agriturismo (con un fatturato di circa 2,5 miliardi di euro).
Insomma, i vitinicoltori italiani hanno fra le mani ancora qualcosa di molto prezioso. Eppure i problemi non mancano. Ad iniziare dalla concorrenza estera per finire con quelli di casa nostra. Confagricoltura, per esempio, ha puntato il dito su tre cose: la riforma della legge sulle denominazioni di origine, quella dell'Organizzazione comune di mercato e sulla cosiddetta regolarizzazione dei vigneti. Tutti scogli che ostacolano la crescita delle imprese (la dimensione media è inferiore all'ettaro) e che mettono in crisi la competitività delle stesse. Tanto che grandi nomi del mondo enologico stanno pensando di correre ai ripari. Con soluzioni spesso opposte. È così che, per esempio, Gianni Zonin, ha lanciato l'idea di dar vita ad un vero e proprio Piano Marshall per il settore chiedendo fra l'altro l'abbattimento dell'Iva e un contenimento dei prezzi. Mentre uno dei guru del vino italiano, Jacopo Biondi Santi titolare dell'azienda che ha inventato il Brunello di Montalcino, punta al contrario sul mantenimento di prezzi elevati per le etichette di pregi. In mezzo, c'è tutto il mondo del vino nostrano, alle prese con una crisi che c'era e non c'è più o, forse, che c'è ancora ma che ha cambiato aspetto.
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