mercoledì 6 novembre 2019
Rubo a un'amica, che non ne se ne avrà a male (è un furto a fin di bene). «Per tanti anni» scrive «ti affanni per trovare ed affermare il tuo ruolo professionale. Ogni giorno dedichi energie, ingurgiti stress e, a volte, raccogli qualche soddisfazione. Oggi mi ritrovo a mettere le mie energie nell'assistere e stare vicina alla mia anziana mamma e ad altri parenti bisognosi di aiuto. Forse tutto meno stimolante, sicuramente senza picchi di adrenalina, ma per la prima volta nella mia vita ho la sensazione di fare qualcosa di veramente utile. Soprattutto quando, nel loro sguardo, leggo un po' di sollievo, dato dal sentirsi amati». Un'altra amica mi racconta l'intensità di certi momenti insieme alla sua vecchia mamma un po' svaporata.
Tutto vero: fatica, frustrazione e burn out se il lavoro di cura divora tutto il tuo tempo e tutte le tue energie. Ma dev'esserci molto di vero anche nell'esperienza di queste amiche, che non va censurata: la certezza di un senso, la pienezza di un'esperienza umana.
Corrispettivamente, il riconoscimento dell'insensatezza di tante giornate, di intere vite dedicate a progetti e imprese che pretendono di riempirle, e spesso invece le svuotano.
Su questo le donne, da sempre prossime ai bisogni umani più elementari, hanno molto da insegnare. Ma, accidenti: non le si ascolta mai, mai, mai.
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