Nel 2010 50mila aziende agricole potrebbero scomparire. L'indicazione ha un po' dell'apocalittico, ma fa capire quanto sia pesante la crisi che stringe il comparto agroalimentare italiano. Una crisi che " al di là dei grandi numeri " può essere analizzata meglio guardando all'andamento di alcune singole produzioni che, fino ad oggi, hanno costituito le punte di diamante del settore in tutto il mondo. Basta guardare, per esempio, alla produzione di prosciutto crudo. Stando alle rilevazioni fornite da Confagricoltura, in un anno (gennaio 2009 " gennaio 2010), la produzione di prosciutto crudo Dop San Daniele è rimasta pressoché stabile, quella del prosciutto di Parma è crollata dell'8,2%; intanto, la produzione di prosciutto crudo non Dop è balzata in avanti del 35,5%. Il cosiddetto «prodotto italiano d'eccellenza» perde terreno, mentre la crescita esponenziale del prodotto «generico» provoca " stando ai tecnici " «una diffusa omogeneizzazione qualitativa delle produzioni suinicole nazionali con conseguente e costante ribasso della qualità dei prosciutti e del livello dei prezzi del prodotto fresco». Insomma, produciamo forse di più in termini quantitativi, ma molto meno in fatto di qualità e di valore di mercato. Non si tratta di una situazione tranquillizzante, anche perché significa che i suinicoltori " cioè una delle categoria più importanti dal punto di vista economica per la zootecnia nazionale " non riescono a incanalare il loro prodotto verso destinazioni più remunerative della trasformazione generica. Di questo il comparto inizia a rendersene conto, anche guardando al suo interno e non solamente a imprecisate cause esterne.
Quello del prosciutto è in fin dei conti un esempio che si può applicare ad altre produzioni. Ciò che sembra ancora mancare all'agricoltura, infatti, è una capacità di adattamento a condizioni di mercato e della produzione che ormai cambiano molto più rapidamente di prima. Accesso al credito, calo della domanda, disoccupazione, aumento dei costi produttivi, crollo dei prezzi all'origine e caduta dei redditi sono altrettante condizioni che " secondo la Cia-Confederazione italiana agricoltori " hanno incrinato la capacità di adattamento delle imprese agricole che traevano forza da una maggiore flessibilità nell'impiego delle risorse, a cominciare dal lavoro, e da una rete di solidarietà familiare che contribuiva ad alleviare i problemi di ricorso al credito e ad assicurare una sufficiente capacità di spesa. In altre parole, le imprese agricole hanno difficoltà ad agire in un mercato sempre più ampio e concorrenziale.
A questo punto che fare? Per ora, ci si limita a idee espresse sotto forma di brevi ricette. Si parla di una politica più attenta e propulsiva nei confronti del settore, di interventi mirati, della necessità di un salto di qualità delle politiche, di un progetto per lo sviluppo. Tutto giusto. È però giunto il momento in cui tutti devono riempire di concretezza i buoni propositi.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: