Non si diventa grandi uomini se non si ha il coraggio di ignorare un'infinità di cose inutili.
Un lettore di Pavia mi manda una pagina fotocopiata dello zibaldone Note azzurre dello scrittore suo conterraneo Carlo Dossi (1849-1910), un autore un po' dimenticato, pur se dotato di una sua originalità briosa. In quella pagina il lettore sottolineava la frase che ho trascritto e che mi sembra di aver già sentito e forse anche proposto. Sta di fatto che essa è, comunque, utile non tanto per esaltare i "grandi uomini" (l'espressione talora può acquistare una sfumatura ironica: forse abbiamo più bisogno di uomini normali), quanto piuttosto per puntare l'indice sulle "cose inutili". È nota la storiella secondo la quale Socrate andava tra le bancarelle del mercato di Atene per scoprire di quante cose potesse gioiosamente fare a meno!
Purtroppo oggi la pubblicità martellante, pronta a non lasciarci neppur respirare pur di infilarci in bocca un prodotto, ci ha avvolto in una rete inestricabile di "cose inutili", di necessità non necessarie, di esigenze infondate. Diventa, così, arduo resistere alla sirena dell'"inutilità", del consumo, dello spreco, mentre in parallelo diventa agevole ignorare le realtà profonde, intime e ben più necessarie. C'è, dunque, da un lato una paradossale ricchezza di cose e dall'altro un'altrettanto sconcertante povertà di spirito, di umanità, di coscienza, di intelligenza. Di questa sindrome ormai un po' tutti sono affetti e - qui ha ragione Dossi coi suoi "grandi uomini" - ora le persone più acclamate e celebrate sono coloro che più posseggono, ostentano, detengono, accumulando tesori, beni e ricchezze del tutto "inutili" per la loro stessa esistenza.
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